Quest’anno il solstizio d’estate cade proprio il giorno della prima prova all’esame di Stato e come ogni anno coincide con l’esposizione dei cartelloni che annunciano l’esito finale dell’anno scolastico. Un esito felice per alcuni, compromesso per quelli che sono richiamati in appello a settembre e triste per quanti fanno i conti con un insuccesso. Questi ultimi oggi sono tutelati dalla privacy talché accanto ai loro nomi compare una riga bianca, senza i voti ottenuti, riga che si chiude con la dicitura «Non Ammesso». Un tempo non c’era la privacy. C’erano i voti insufficienti scritti in rosso che, se tanti, portavano dritti verso un solo e unico aggettivo senza scampo: «Respinto»! Come dire caro ragazzo «vade retro», poiché non avendo studiato non sei degno di continuare a far parte del gruppo dei promossi che meritatamente va avanti negli studi, passando alla classe successiva. Ma non finiva qui. Il «Respinto», infatti, tornato a casa subiva una bella lavata di capo da parte dei genitori. Parole pesanti che si scolpivano nel cervello e, come da tradizione patriarcale, erano accompagnate anche da qualche bel ceffone donato da mani legnose del solito papà, tale da lasciare il segno delle cinque dita sulla faccia per qualche giorno. Giorni in cui si evitava persino di uscire di casa per non dare soddisfazione a chi del fallimento ne mostrava godimento. A quei tempi non c’era «Telefono Azzurro», né c’era lo psicologo chiamato a far fronte al disagio sopraggiunto. Nessun aiuto, né comprensione che potesse venire dall’esterno. Il ceffone te lo tenevi e si viveva nella speranza di avere come alleato il tempo, l’unico in grado di mitigare l’ira funesta che aveva mosso le legnose mani. Col passare degli anni quell’aggettivo crudo e crudele prende le sembianze più soft e l’alunno da «Respinto» si ritrova «Bocciato». Quale consolazione! Cambia anche l’esposizione. I voti insufficienti non sono più trascritti in rosso. Non risaltano all’occhio perchè si mescolano ai voti sufficienti. Non che questo salvasse la situazione. Una volta a casa qualche pedata sul di dietro entrava comunque di diritto a far parte della storia scolastica finita male. Intanto la società cambia e con essa cambiano i costumi e il modo di essere genitori. Gli aggettivi «Respinto» e «Bocciato» vanno in soffitta accanto al triciclo in legno e al trenino di latta. Si fa strada la formula «Non Ammesso» senza che compaiano voti e soprattutto senza più ceffoni a casa. Oggi l’alunno torna a casa e racconta l’infelice esito. Le reazioni? Intanto ceffoni e pedate nel sedere sono un retaggio di un vissuto lontano, non fanno più parte della tradizione famigliare. Oggi si impone un’altra tradizione. L’alunno «Non Ammesso» non è più quello che non ha studiato durante l’anno, ma è quello che ha avuto professori che non lo hanno capito, che non lo hanno aiutato, che non hanno saputo fare il proprio lavoro. Dirò di più. Non sono episodi isolati quelli raccontati dalla cronaca che vedono insegnanti soccombere in modo offensivo se non addirittura lesivo davanti a genitori che, scelta l’alleanza famigliare, si schierano apertamente dalla parte dei figli, individuando l’insegnante come l’unico responsabile dell’infelice esito. Talvolta accade anche l’irreparabile. A buscare il ceffone oggi non è più l’alunno che non ha studiato, ma il professore che non ha spiegato, il professore che non ha capito lo stato d’animo che per un anno intero ha condizionato negativamente il rendimento scolastico, il professore che si è permesso di mettere in pagella i voti insufficienti. Sono mutati i comportamenti sociali, relazionali perché è cambiato l’atteggiamento mentale, morale e civile da tenere nei rapporti. Se questo è progresso, allora voglio tornare indietro. E’ uno degli argomenti che si sono trovati i maturandi quest’anno, leggendo il passo di un articolo di Edoardo Boncinelli, genetista, pubblicato il 7 agosto del 2016 sul “Corriere della Sera” dal titolo «Per migliorarci serve una mutazione» proposto nella Tipologia D – Tema di ordine generale. E che mutazione! Ancora una volta viene riproposta la lettura dei grandi del passato. Il riferimento cade su uomini come Einstein, Kant, Platone e Talete, cultori oggi in disuso che tanto possono ancora offrire, ma che non trovano più spazio nella nostra società. L’uomo oggi esce facilmente dalle righe fino ad assumere comportamenti tracotanti, trasgredendo, di fatto, la sua condotta morale. Siamo testimoni del tempo che corre senza più un freno, senza più un esempio, senza più una testimonianza. Quando dei genitori ben vestiti e talentuosi si presentano a scuola per schierarsi apertamente dalla parte dei figli, a prescindere, sempre e comunque, cosa possiamo dire se non ricordare, appunto, Talete quando invitava a: «Non abbellirsi nell’aspetto, ma di essere bello nel comportamento». Povero Talete. Fosse vissuto ai giorni nostri e avesse avuto a che fare con certi genitori, si sarebbe scatenato come un toro nell’arena davanti a un drappo rosso. Ma tant’è che i costumi sono cambiati. Sfidare l’insegnate oggi è cosa normale, come normale è anche mettere in dubbio la sua professionalità. Questo è possibile perché oltre ai comportamenti sono cambiate le condizioni esterne ovvero l’approccio all’altro visto come un ostacolo per i propri figli e quindi come tale da rimuovere per liberare la strada e rendergli la vita felice. Le delusioni sono viste alla pari dei fallimenti, mentre tutti sanno che le delusioni sono anche occasione di crescita perchè sviluppano il senso dell’adattamento. In quest’ottica le difficoltà non trovano spazio mentre le avversità sono a lui sconosciute. Ecco perché il genitore diventa il suo miglior alleato. Eppure le difficoltà, le avversità sono un patrimonio della vita, fanno parte del cammino di ciascuno di noi, sono la garanzia per una crescita i cui risultati si hanno in tempi lunghi. L’esatto opposto della cultura del tutto e subito. Non dobbiamo educarli alla «pappa pronta», ma insegnare loro a «preparare la pappa» perché è su questo terreno che si misura e si costruisce il proprio futuro. Molti genitori fanno fatica a capire questo percorso di vita e pur di rendersi la vita meno grama, meno faticosa, meno impegnativa, preferiscono schierarsi, farseli amici, perdendo il vero significato di genitorialità. E qui sbagliano di grosso. Spero non consapevolmente perché se così fosse, allora sono d’accordo con Aldous Huxley, scrittore britannico, quando scrive: «Datemi genitori migliori e vi darò un mondo migliore».
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