Cacciati i presidi incapaci

Dopo la valutazione del merito dei docenti tocca ora ai presidi che dal 1998 hanno acquisito la qualifica dirigenziale con tutti gli annessi e connessi che tale qualifica riserva e che sono ben definiti da un decreto legislativo del 2001 (art. 25 D.L.vo 165/01). Dal 2001, dunque, il nostro preside non è più un “primus inter pares” concetto tanto caro alla nostra cultura scolastica quanto inviso ad uno dei più grandi filosofi del pensiero classico, Aristotele che vedeva, invece, nel superiore gerarchico l’unica possibilità di governo. Da più di un decennio, ma a quanto pare nessuno se n’è accorto, il preside è l’unico responsabile nella scuola in fatto di «gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio» e questo grazie a una politica scolastica organizzata secondo «criteri di efficacia ed efficienza». Ad onor del vero negli anni ottanta si è cercato di introdurre nell’ambiente scolastico la figura del “preside manager”, ma poi il buon senso ha fortemente ridimensionato tale figura visto che la scuola non è un’azienda, né il suo preside poteva essere un «top manager». Con la legge 107/15 che tutti abbiamo oramai imparato a conoscere come la legge sulla «Buona Scuola», ai presidi, diventati nel frattempo “dirigenti scolastici” (ma a me piace tanto quel “signor preside”), vengono affidati ulteriori compiti di gestione delle risorse professionali, di valutazione dei docenti in base al merito, di responsabilità in tema di sicurezza di alunni e docenti. E siamo arrivati al cuore del problema. Una simile qualifica rigenerata da particolari competenze gestionali e amministrative, richiede una valutazione riconducibile ad una effettiva capacità di valorizzare il personale che porti ad una crescita della stessa comunità scolastica. Il Ministro Stefania Giannini già lo scorso maggio con un comunicato stampa annunciava l’emanazione di una direttiva da sottoporre in tempi brevi al parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione che portasse alla valutazione dell’operato dei presidi. E in effetti così è stato. Lo scorso 15 giugno il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ha votato all’unanimità le proprie proposte da sottoporre all’attenzione del Ministro. Il passaggio finale non si è fatto attendere. E’ del 28 giugno l’emanazione del testo definitivo della direttiva ministeriale in questione. In sostanza con l’avvio del nuovo anno scolastico, dopo vari tentativi susseguiti negli ultimi quindici anni per arrivare ad un accordo sulla valutazione dei presidi, tentativi tradotti in sperimentazioni puntualmente cadute nel nulla, si parte con gli obiettivi di miglioramento che tutti i presidi si troveranno ad affrontare per far crescere la comunità scolastica in generale, operando in piena sinergia con la più ampia comunità sociale e civica. Si realizza così finalmente la piena autonomia. Un percorso lungo e faticoso che è ora arrivato a conclusione e che prevede anche, in caso di “mancato raggiungimento degli obiettivi”, particolari azioni di richiamo e assistenza per quei presidi “incapaci” o in perenne difficoltà nell’espletamento dell’esercizio delle proprie funzioni, fino ad arrivare ad una sorta di «Presidexit» ovvero sospensione dal servizio, tipico sistema meglio conosciuto come metodo a “bagnomaria professionale” prima di arrivare ad una nuova collocazione con altre mansioni. Si dice che «quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare» e allora è giusto che anche i presidi vengano valutati e rispondano del proprio operato al Direttore Generale come i docenti al proprio preside. E’ un cambiamento di mentalità epocale che risponde, comunque, al dettato legislativo sull’autonomia scolastica ben definita sin dal 1998, ma mai pienamente attuata. Ora la legge sulla «Buona Scuola» chiarisce in maniera lapalissiana obiettivi, mezzi e strumenti di cui ciascuna scuola potrà servirsene per portare al successo formativo i propri allievi. Non ci sono più scuse. Le scuole riceveranno più risorse economiche, più risorse professionali grazie all’organico funzionale, più strumenti progettuali con cui migliorare il proprio patrimonio in fatto di attrezzature e infrastrutture digitali. Tutto un sistema che punta a trovare soluzioni adatte ad abbattere fenomeni negativi come la dispersione scolastica, l’abbandono delle lezioni, il mancato o difficoltoso recupero degli apprendimenti. Non solo. La presenza di nuove problematiche sociali, famigliari e psicologiche fino a qualche anno fa non prese in considerazione, chiama la scuola ad assumere iniziative idonee a prospettare per gli alunni coinvolti, un cammino che porti a un effettivo recupero formativo. La scuola è di tutti e di ciascuno. Vanno valorizzati al massimo i ragazzi impegnati dai risultati eccellenti, ma vanno recuperati mediante concreti processi di autostima anche e soprattutto gli ultimi, quelli che soffrono maggiormente le difficoltà come un reale impedimento all’autoaffermazione. Ora i presidi di questo operato saranno valutati, giudicati e ne risponderanno davanti agli organi superiori, ma anche e soprattutto davanti alla comunità scolastica e civica dei risultati raggiunti o mancati. Sotto la lente d’ingrandimento finirà non solo il loro operato, ma finiranno anche gli obiettivi di miglioramento individuati, quelli legati alla specificità del territorio, quelli particolari dell’istituto a lui affidato. Dal prossimo anno scolastico i presidi non avranno più scusanti perché la loro crescita professionale è il primo obiettivo da perseguire e questo obiettivo richiede risultati. I presidi, quindi, saranno essi stessi responsabili della loro performance. Lo diceva Pietro Pomponazzi, filosofo del quattrocento dal caratterino non facile: «L’uomo è l’unico responsabile di tutto quello che gli può capitare nella vita». Come dire che se a un preside capiterà qualcosa di spiacevole in fatto di valutazione, se l’è cercato da solo. Allora se c’è qualche preside in difficoltà nell’interpretare i segni del cambiamento, è meglio che ci ripensi e che ritrovi nell’esercizio della professione quel particolare livello di motivazione che ritengo essenziale da trasferire ai docenti e fare della comunità scolastica una vera opportunità di crescita educativa, civile e formativa. Nelle scuole non ci sono né capi, né manager, né “primus inter pares”, né dirigenti che non sappiano vedere nelle risorse a disposizione delle vere opportunità che consentano, mediante un proficuo lavoro di squadra, di leggere, interpretare, concretizzare le esigenze del territorio per dare risposte che vadano oltre il “fumo” negli occhi, il solo in grado di obnubilare la vista e la ragione.

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