Ancora oggi sono tanti, tantissimi gli istituti superiori occupati da studenti arrabbiati che continuano imperterriti a bloccare l’attività didattica senza che nulla si muova per sbloccare una situazione per certi versi assurda e illegale. Ad onor del vero ad alcuni miei colleghi va riconosciuto il coraggio (poiché di coraggio si tratta) di essere riusciti a porre un limite ad azioni che rischiano di non avere più limiti. Di qui la decisione, sia pur sofferta, di chiamare la polizia per ripristinare un normale rapporto tra scuola e studenti. Ci sono state qua e là varie iniziative promosse da Direttori Generali o da presidi le cui strategie non potevano prescindere da un dialogo aperto e franco con studenti e famiglie. Ma, tranne qualche rara eccezione, le proteste degli studenti continuano senza interruzione pur consapevoli del rischio che si corre allorché si interrompe un pubblico servizio. Se in molte scuole tutto è rientrato, in tante altre le occupazioni sono appena iniziate o si sono trasformate in autogestioni secondo un rito che vuole la prima parte dell’anno scolastico concludersi tra confusione e illegalità. Francamente non capisco perché continuare a tollerare situazioni che fanno dell’illegalità una formula evanescente, ancorché annacquata per restituirla all’opinione pubblica sotto forma di iniziative formative. Mi spiego. Un anno scolastico per essere ritenuto valido deve prevedere un numero minimo di 200 giorni di lezione. E questo non per tradizione storica né per consuetudine consolidata che si fa pseudo norma, ma semplicemente perché così vuole il Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n°297, dove all’art. 74, comma 3, si legge: «Allo svolgimento delle lezioni sono assegnati almeno 200 giorni». Dunque se viene meno questo dispositivo di legge, dovrebbe venir meno la validità di un anno scolastico. Cosa ovvia perché così è per legge. Ma in ambito scolastico si sa che talvolta le consuetudini si materializzano sul campo fino a diventare storia sociale e trasformare così qualcosa di illegale in iniziativa da comprendere e da tollerare. Ancora una volta si cade in errore. La scuola si ritrova a pagare in termini di illegalità un costo culturale elevato e causato da altri. Perché se i ragazzi arrivano a occupare le scuole fino a interrompere le normali attività didattiche, vuol dire che il clima scolastico è talmente torbido da portare chiunque a comprendere una situazione che non ha nulla di legale. E se non è legale occupare, se non è legale interrompere un pubblico servizio, se non è legale distruggere attrezzature e arredi scolastici, perché rendere legale la stessa tolleranza? Mi si potrebbe obiettare che se dovessimo applicare la legge, in molti istituti l’anno scolastico dovrebbe essere invalidato con tutte le conseguenze che da ciò ne deriverebbero. Chi mai avrebbe il coraggio di invalidare un anno scolastico? Chi sarà mai colui che a un certo punto dovrà dire a molti studenti, scusate ma il gioco è finito, potete tornare a casa tanto ripeterete tutti quanti l’anno scolastico eccessive assenze e per mancanza di numero legale dei giorni di lezione? Allora se questo non avverrà mai, come credo, perché non trovare una diversa soluzione? Perchè, ad esempio, non promulgare una legge che regolarizzi le occupazioni studentesche, che permetta l’interruzione di un pubblico servizio, che consenta agli studenti di sfasciare un minimo di attrezzature e arredi, almeno saremo tutti rispettosi delle leggi. Gli studenti per i limiti rispettati e per i danni arrecati (tanto paga pantalone), le famiglie per l’appoggio dato ai figli, i presidi per non aver mosso alcuna opposizione. Sarebbe il trionfo della legalità. Non solo. Si potrebbe prendere per buone queste tradizioni oramai da anni consolidate, accettarle come abitudini, come appuntamenti autunnali, vivere di aspettative e sperare che col tempo le abitudini diventino cambiamenti. Che meraviglia! Ma per fortuna c’è il filosofo David Hume a ricordarci che «l’abitudine ci può condurre alla credenza e all’aspettativa, ma non alla conoscenza, e ancora meno alla comprensione di relazioni legali». Beata filosofia. Del resto c’è di che preoccuparsi quando si insiste per promuovere, tra l’altro, progetti didattici sulla legalità per poi scoprire che la legalità viene sentita come un concetto del tutto opinabile o come direbbe qualcun altro, un concetto double face, astratto, reversibile a seconda della situazione che si viene a creare. Se così fosse è la fine del diritto e il trionfo dell’inciviltà. Ma cosa stiamo insegnando ai ragazzi? La verità è che in questi casi viene incontro la miglior creatività tutta italica grazie alla quale si riesce a trovare una giustificazione anche a ciò che non può essere giustificato. Volete una prova? Allora ricordate che i ragazzi non occupano, ma sono impegnati in attività formative ed educative; non interrompono un pubblico servizio, ma al contrario garantiscono un servizio di didattica alternativa; non distruggono attrezzature e arredi, ma si adoperano per far notare ai presidi e agli enti locali le pessime condizioni in cui versano le infrastrutture. Vuoi vedere che dobbiamo ringraziarli per essersi prestati a un lavoro sporco causato da altri? Diciamo pure le cose come sono. Da anni, con l’arrivo della stagione autunnale, assistiamo a comportamenti abitudinari vissuti dagli studenti in maniera ripetitiva, tramandati con qualche variabile. E’ come se gli studenti, in balia di una scuola strapazzata, trovassero nelle storiche abitudini una motivazione sicura a cui aggrapparsi. Del resto se le cattive abitudini sono facili da prendere e difficili da eliminare, le buone sono difficili da prendere e facili da eliminare. Probabilmente il cambiamento deve avere un fondamento culturale e deve essere cercato e vissuto come una grande novità. Ma così non è. Ancora una volta le vacanze di Natale rappresentano lo spartiacque tra l’illegalità di oggi per le occupazioni degli studenti e la legalità del domani alla ripresa delle lezioni. Dopo Natale tutto torna nella norma, come se nulla fosse accaduto, mentre ancora una volta è accaduto qualcosa di grave. In molti istituti l’anno scolastico non è regolare, ma come sempre la tradizione verrà rispettata e come sempre l’illegalità riceverà l’imprimatur della regolarità. E così sia. Oltretutto all’orizzonte maiora premunt.
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