Arbitri, gli errori continuano

Peggio del caso Muntari. Allora si gridò allo scandalo, si frugò nell’archivio dei cattivi pensieri agitando vergogne antiche come il rigore negato a Ronaldo o il gol annullato a Turone (guarda caso, in tutti e tre gli eventi a beneficiarne fu la Juventus), ma l’errore grossolano rimase abbastanza isolato. Quella di quest’anno è invece un’escalation di strazi arbitrali sempre più gravi e che non sembrano finire mai. Domenica 28 ottobre e sabato 3 novembre l’allarme per le giacchette nere è diventato rosso, perché quasi in ogni campo ci sono stati episodi al limite dell’incredibile. Ma di veramente incredibile c’è soprattutto il fatto che, nonostante il moltiplicarsi di assistenti, da quelli di linea a quelli di porta, al quarto uomo (unica federazione Uefa ad aver recepito subito l’esigenza di passare da quattro a sei giudici di gara), il numero degli errori non è affatto in calo. Anzi, proprio il caso più eclatante, il gol regolare annullato al Catania, evidenzia chiaramente un conflitto di pareri tra giudici che poi ha generato l’errore finale. Chiaro che poi da parte avversaria sia stato gioco facile addossare la colpa alla panchina bianconera insorta in maniera quantomeno invasiva contro la decisione iniziale di concedere il gol. Ma puntare il dito contro la Juventus sarebbe assolutamente sbagliato, non fosse altro perché in quella voragine di miserie che fu Calciopoli nel 2006 fu praticamente l’unica a pagare e per sei anni venne praticamente annientata a livello sportivo.No, il problema degli arbitri è più vasto: un problema di educazione al confronto che manca da sempre e persino di comunicazione, con una sudditanza psicologica che negli anni è passata da un potentato all’altro, dall’Inter degli anni Sessanta, alla Juve negli anni Settanta fino al Milan degli anni Novanta, toccando con intervalli più brevi anche Roma, Lazio e Napoli. Dove esiste potere, esiste la tentazione di assecondarlo e gli arbitri non sono quasi mai mosche bianche nell’umano consesso. E non è neppure tanto servito abbassare i toni del can can mediatico: molti canali tv hanno infatti messo parzialmente in sordina moviole e moviolone cercando di svelenire il clima, evidentemente fuori tempo massimo. Bisogna fidarsi, ci dicono: vero, anche se ora qualcuno insinua che esistono pure profili Facebook legati a fan di club di Serie A in cui si arruolerebbe qualche giudice di gara. Malignità già smentita, ma che continua a seminare dubbi, peraltro mai fugati del tutto dopo aver ascoltato fino alla nausea i “maneggi” vergognosi di sei anni fa.Alla base di tutto c’è il fattore fiducia: quando il calcio non era ancora strangolato da interessi economici più grandi di lui, lo sbaglio arbitrale serviva ai tifosi per discutere nei loro bar sport, senza lasciare ulteriori strascichi. Ora, con società quotate in Borsa e giri d’affari vertiginosi, nessuno è più disposto a scusare l’errore umano. Il presidente Uefa, Michel Platini, ha già detto che finché ci sarà lui la moviola in campo non passerà mai. Eppure, se riflettessero di più, i dirigenti del calcio scoprirebbero che lo sbaglio arbitrale, che puntualmente si ripete e che quindi dovrebbe avere un suo saldo nel dare e avere, è forse l’alibi più grande per i loro fallimenti sportivi. In fondo, per giustificare un attaccante che sbaglia a porta vuota o una papera del portiere c’è sempre l’errore della giacchetta nera da giubilare prima di tutti.

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