Le politiche di austerità come risposta alla crisi non sono affatto efficaci e non stanno funzionando, al punto che questa cattiva interpretazione determina ripercussioni di carattere politico e sociale, oltre che economico.Ci dibattiamo in una situazione di stagnazione, mentre l’argomento della redistribuzione del reddito non è colto nella sua centralità e di conseguenza non viene dato corso al bisogno di intervenire sull’equità per rilanciare l’economia.Intervenire sull’equità, invece, dovrebbe essere la prima cosa da fare, mettendo in atto semplicemente quel che è giusto: il prelievo una tantum sui capitali esportati illegalmente e scudati, per ottenere 15miliardi per i pagamenti della Pubblica Amministrazione verso le piccole e medie imprese e consentire gli investimenti dei Comuni. La tracciabilità e l’obbligo del pagamento elettronico per prestazioni e servizi, la tenuta dell’elenco clienti-fornitori e la ridefinizione di un’imposta fortemente progressiva che inglobi l’attuale imposta comunale unica sugli immobili. Senza dimenticare l’intervento sui costi della politica, che non arrivano (o meglio riguardano solo il livello locale) e che suonano come l’ennesima presa in giro. In sostanza: lotta all’evasione e chi ha di più faccia uno sforzo in più, perché i soldi “si prendono” laddove ci sono, anche con atti simbolici e senza umiliare il Paese, come avvenuto con l’assurda discussione sul contributo di solidarietà per redditi sopra i 300mila euro.Lega e Pdl, invece, hanno scelto di dar corso a una serie di manovre economiche ingiuste, finendo col colpire le classi sociali medio/basse attraverso: ticket, tasse, aumento dell’Iva e trasporti, tagli alla sanità, alle detrazioni fiscali, ai servizi locali e ai Comuni, che determineranno un impoverimento reale delle persone, con picchi di spesa non prevedibili e che genereranno insicurezza e un ulteriore calo nel potere d’acquisto delle famiglie.Abbiamo perso tre anni, durante i quali il centrodestra ha negato la crisi, non ha fatto le riforme e ha ribaltato le priorità. Ma nel contesto di crisi globale, noi siamo oltremodo in ritardo perché paghiamo un intero “decennio perduto”, che oltre a essere una certezza del passato è un rischio reale per il nostro futuro. Cos’altro pensare, ad esempio, di fronte ad un decreto sviluppo, annunciato da mesi e che ancora non si vede?La lunga stagione del populismo senza riforme va quindi chiusa. Il Paese deve reagire. La posta in gioco è altissima, perché è la caratteristica distintiva della società nel ‘900 ad entrare in crisi e cioè la civiltà del lavoro, vista altresì la crescente precarizzazione dei giovani, esclusi da ogni forma di tutela sociale, sia nel presente sia nel futuro.La verità è che navighiamo in mare aperto, la rotta è incerta, il timone della politica inadeguato e l’esiguità dei numeri non consente a questo governo di poter realizzare quelle misure richieste dalla drammatica situazione in cui si trova il Paese. Le proposte dell’opposizione non mancano: dall’avvio di un serio piano di liberalizzazioni (ordini professionali, farmaci, filiera petrolifera, RC auto, portabilità di conti correnti, mutui e servizi bancari, ecc.) sino a politiche industriali e progetti per l’efficienza energetica, la tecnologia e la ricerca, per orientare la nostra politica economica verso strategie di sviluppo sostenibile. Tutto ciò però non è sufficiente per una svolta. Servirebbe una scossa come in Spagna, ma qui non accade, anche adesso che i principali pilastri del nostro Paese: chiesa, imprenditori e opinione pubblica chiedono al premier di farsi parte.Il perdurare di questo governo, infatti, dipende da qualcosa di più profondo dell’accusa strumentale di non credibilità dell’opposizione. E’ tutto il Paese ad essere profondamente indebolito nel senso democratico sul quale si regge, al punto di non riuscire ad andare oltre l’evidente inadeguatezza di questo governo.Occorre quindi di più. Occorre ricostruire l’Italia, con l’obiettivo di ridare fiducia agli italiani, unendo realmente il nostro futuro all’Europa. Un impegno da perseguire a ogni livello, anche nel Lodigiano, aprendo un confronto nuovo tra le forze sociali, civiche e le opposizioni presenti sul territorio, anche al fine di perfezionare una più compiuta proposta alternativa e di stimolo all’attuale maggioranza che governa la Provincia, sempre più votata all’ordinaria amministrazione e prona alle decisioni del governo che umiliano gli Enti Locali, che sono i primi e più diretti interlocutori dei cittadini, delle famiglie e delle imprese.Nei prossimi giorni, quindi, realizzeremo una serie di incontri e di iniziative che, mettendo a disposizione il lavoro avviato nella Conferenza programmatica del Pd Lodigiano, ci permetta di raggiungere l’obiettivo di condividere un’agenda di impegni e priorità da proporre al Consiglio Provinciale per il 2012, affinché si cambi marcia nell’interesse del Lodigiano. Un cambio di marcia che però deve riguardare anche il centrosinistra, affinché la smetta di guardarsi l’ombelico e non inauguri l’ennesima stagione di discussione interna fine a se stessa. Quel che è decisivo non è sapere quali sono le correnti o le polemiche, ma quali sono le proposte e soprattutto qual è il progetto complessivo di Paese che abbiamo in mente. Un Paese non ha più niente da perdere, se non se stesso.
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