Anche un geometra di San Giuliano tra le firme del ponte San Giorgio

«Un’opera unica ma non dimentichiamo mai le 43 vittime, poteva toccare a chiunque»

Lo ha visto nascere, lo ha “fatto” nascere. E il suo nome compare nell’elenco dei mille fra progettisti, tecnici, operai incisi sulla targa che sarà issata su un pilone a futura memoria. Ieri, lunedì, all’inaugurazione del nuovo ponte San Giorgio a Genova c’era anche il geometra sangiulianese Matteo Loggia, 43 anni e un diploma all’istituto Bassi di Lodi. “Figlio d’arte”. Il padre Francesco, scomparso nel 2001, era un noto costruttore nell’hinterland milanese. Ed è osservandolo in cantiere, lui bambino, che ha imparato a «dare il giusto valore alle persone – spiega -. Perché sapeva raffrontarsi con architetti e ingegneri direttori dei lavori e dare la pacca sulla spalla all’autista o all’operaio che stava solo utilizzando una carriola». E’ anche per questo che alla soddisfazione per il lavoro fatto, 466 giorni a seguire le lavorazioni a terra e poi su, con le imbragature a 40 metri d’altezza, a verificare le giunzioni bullonate e le saldature degli elementi d’acciaio, fa precedere il suo sostrato umano. «È stato un anno e mezzo intensissimo ed è stata è la degna conclusione con un’inaugurazione spettacolare. Ma è un ponte ricostruito sulla tragedia e non posso non sottolineare anch’io che ho partecipato a un’opera ingegneristica come forse capita una volta nella vita, ma ahimè porta alle spalle un’eredità pesante, il crollo del ponte Morandi dove sono venute a mancare 43 persone innocenti, che in un giorno di festa si sono trovate in un salto nel vuoto inspiegabile».

Una ferita non ancora rimarginata, che spiega le polemiche sulla celebrazione di ieri, criticata da quanti esigevano toni bassi, non celebrativi. Guardandosi indietro, alla «sveglia biologica che mi faceva comunque alzare dal letto senza guardare l’orologio perché le lavorazioni ogni giorno erano differenti», ai «trasporti eccezionali dal porto per consegnare nelle fasi notturne i vari elementi di acciaio che venivano sollevati con gru fino a 1300 tonnellate», all’incontro con l’architetto Renzo Piano, alla medaglia e alla targa col suo nome, Loggia non nega di aver atteso il momento di ieri. E precisa: «Come tecnico ho la mente divisa in due, da un lato c’è la soddisfazione di aver raggiunto un successo professionale e dall’altra il solo pensiero che un mio famigliare potesse essere fra le vittime mi fa comprendere l’odio per un’opera che va a cancellare quella infrastruttura che ha dato la morte a 43 persone». Ma che s’inserisce nella vallata con una levità che è essa stessa risarcitoria. «A chi lo guarda dall’Appennino il ponte San Giorgio sembra un grosso vascello coi suoi alberi e ti dà l’impressione di essere arrivato al mare». Quell’orizzonte che Loggia saluterà a breve. Dopo l’ingaggio durato cinque anni al progetto all’isola Serafini a Piacenza e un’esperienza di otto mesi in Mozambico per costruire un pontile sull’Oceano Indiano, Loggia tornerà vicino a casa. Dalla compagna e dai figli. «Quello che più desidero è rientrare la sera e averli vicini». Gli affetti prima di tutto.

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