Chi lavora nell’ascolto, nell’accoglienza e nell’accompagnamento di chi è stato gettato ai margini della società o non ha trovato in essa spazi e luoghi per potersi inserire, si ritrova sempre “spiazzato”, quando legge sulle pagine di un giornale notizie che raccontano la storia di chi la nostra società vorrebbe fosse e rimanesse invisibile. Così, per due giorni consecutivi, ci siamo sentiti tirare in ballo da altri a proposito di persone che vivono accanto a noi, che incrociamo nelle nostre vie e talvolta nei nostri servizi. Così è stato quando abbiamo letto di quel giudice che, di fronte ad un ragazzo colto mentre cercava di rubare qualcosa perché aveva fame, forse mossa a pietà oppure perché senza reali mezzi e poteri, liberava il giovane invitandolo a rivolgersi alla Caritas. Così è stato quando abbiamo letto le proteste indignate di chi si è accorto che lungo le sponde del nostro fiume Adda cercano e trovano rifugio uomini, che si vorrebbe solo rendere ancora più invisibili, magari rinchiudendoli in un luogo sicuro, semplicemente perché esistono. Quando è questo il modo con il quale si rendono visibili coloro che il nostro perbenismo vorrebbe invisibili, vorremmo veramente sparire con i più poveri e più dimenticati, quasi vergognandosi di far parte di una società e di un pensiero in cui le barbarie dell’egoismo e dell’egocentrismo, alimentati dall’ideologia della sicurezza che tutto giustifica e nulla risolve, sembrano prevalere su ogni sguardo diverso. Lo sguardo diverso che vorremmo invece che si suscitasse a partire da queste storie, è che oggi, fra le vie di Lodi, c’è chi ruba perché ha fame, e che tutti dovremmo essere capaci di intercettare il grido di dolore che viene da chi non vede speranze. Lo sguardo diverso che vorremmo si suscitasse è quello di chi si rende conto che oggi in Italia c’è incapacità di integrare, di accogliere, di offrire opportunità per chi è fragile e indifeso, vittime spesso di sfruttamenti che, se fossero resi visibili, farebbero vergognare chi oggi grida allo scandalo per una punizione non data o un rifugio diventato troppo invadente-evidente. Lo sguardo diverso che vorremmo si suscitasse è quello di chi riconosce in questi fratelli e amici una domanda di ascolto, di comprensione, di avvicinamento, anche se questo percorso può sembrarci difficile e rischioso. Ogni giorno come Caritas ci battiamo per questo sguardo diverso, perché chi è invisibile possa diventare non solo visibile, ma riconosciuto innanzitutto come un fratello da custodire.
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