C’è un’Italia alla quale manca il fiato. Per continuare a lavorare, a sperare, a combattere. Decine di migliaia di persone, famiglie, aziende, costrette a fare i conti con il sovraindebitamento. Un fenomeno cresciuto negli ultimi anni a ritmi inquietanti, in un circuito di marginalità economica, sociale e umana che si alimenta di silenzi, paura, vergogna. E non di rado spinge nelle giogo meschino e odioso dell’usura.Un “effetto collaterale” della dura crisi economica che stiamo vivendo? Certamente sì. Ma la fotografia del paese “strozzato” rimarrebbe sfocata se la si guardasse solo da questo punto di vista. Occorre concentrarsi anche sulle cause del fenomeno. A cominciare dal modello di crescita economica che, negli ultimi decenni, ci ha guidati verso uno sviluppo insostenibile, imperniato sulla “leva” esasperata dei consumi. Ciascuno ha subito, infatti, un bombardamento mediatico, finalizzato a convincere che non si può rinunciare a quasi nulla del superfluo e a far concludere acquisti ad ogni costo (letteralmente), persino indebitandosi a tassi prossimi all’usura, spesso senza farsi neppure due conti in tasca, prima di firmare un contratto con una delle centinaia di finanziarie che propongono prestiti “irrinunciabili”.Il risultato è stato un progressivo deterioramento dei bilanci delle famiglie italiane, così come delle imprese. E il proliferare risulta indisturbato (le leggi italiane non sono in grado di contrastare efficacemente il fenomeno) e incontrollato (il numero di denunce è ancora a un livello marginale rispetto alla reale entità del problema).Così, secondo il tredicesimo rapporto dell’associazione Sos Impresa, intitolato Le mani della criminalità sulle imprese, l’usura costringe ormai alla chiusura 50 aziende al giorno. Se non fosse abbastanza chiara la portata del fenomeno, si può tradurre il dato nella relativa emorragia occupazionale: solo nel 2010, sono stati bruciati circa 130 mila posti di lavoro. Ad essere colpito è, storicamente, soprattutto il settore del commercio: i più a rischio sono – prosegue il rapporto – «persone mature, intorno ai 50 anni, che hanno sempre lavorato nel commercio e faticano, ad esempio, a riconvertire le proprie imprese». Alimentaristi, fruttivendoli, gestori di negozi di abbigliamento e calzature, fiorai: disposti a tutto, pur di evitare un protesto o il fallimento delle attività.«Ma ormai ci si rivolge agli usurai perfino per aprire bottega, mancando altri canali di credito», si legge nel libroL’Italia incravattata, edito dal mensile Altreconomia. E qui entrano in gioco le banche. O meglio spariscono, perché quello che gli economisti chiamano il credit crunch, ovvero la chiusura dei rubinetti dei prestiti, costituisce una delle principali micce del ricorso agli “strozzini”. E pensare che proprio gli istituti di credito hanno ormai da mesi la possibilità di accedere a finanziamenti pressoché illimitati dalla Banca centrale europea. La quale, nel tentativo di placare le turbolenze dei mercati, ha concesso qualcosa come mille miliardi di euro alle banche, all’irrisorio tasso dell’1% (circa un quinto di quanto viene chiesto ai cittadini per un mutuo...).Uno sforzo mastodontico, nonostante il quale, secondo la stessa Bce, i prestiti arrivati al settore privato – famiglie e imprese – sono aumentati in febbraio solo dello 0,7% rispetto al medesimo periodo del 2011.«Le banche – osserva Pietro Giordano, segretario generale di Adiconsum – dovrebbero varare una moratoria sul credito al consumo, che prevedasospensione e allungamento delle rate di qualsiasi finanziamento.È necessario che recuperino il loro ruolo sociale, anche attraverso la solidarietà a favore dei clienti che per anni le hanno foraggiate e oggi sono caduti in disgrazia». Ma gli istituti di credito, per ora, sembrano orientati a far contenti soprattutto i loro azionisti, tenendosi stretti i capitali ricevuti dall’Europa. Il che, inevitabilmente, ha fatto schizzare il livello di indebitamento delle aziende italiane: 180 mila euro in media, quasi il doppio dell’ultimo decennio, secondo Sos Impresa. Non sorprende che i fallimenti, solo nei primi due anni di crisi, siano cresciuti vorticosamente: +16,6% nel 2008, +26,6% nel 2009.E se le imprese vacillano, le famiglie non possono che pagarne le conseguenze. Secondo i dati della Banca d’Italia, l’indebitamento medio delle famiglie è ormai pari a 22 mila euro. Uno studio della Cgia di Mestre ha sottolineato come tale dato, dal settembre 2008 allo stesso mese del 2011, sia cresciuto del 36,4%; le aree più fragili sono le province di Roma (indebitamento medio di 29.287 euro), Lodi (28.470 euro) e Milano (28.251 euro). Questo perché «la situazione economica delle famiglie meno abbienti nelle grandi aree metropolitane è mediamente peggiore di quella registrata dai nuclei ubicati nelle realtà medio-piccole, dove il costo della vita è inferiore», sottolinea Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia. Bankitalia aggiunge che «la percentuale di famiglie indebitate è pari al 27,7%», e la ragione principale è legata alle passività legate «ai mutui ristrutturazione di immobili». Come se non bastasse, l’11,1% delle famiglie risulta costretto a far fronte a debiti superiori al 30% del reddito complessivamente incassato ogni mese.Il problema è sempre più pressante, dunque. Eppure lo stato deve ancora affrontarlo da un punto di vista normativo. In Italia, infatti, non esiste una disciplina specifica per il sovraindebitamento: «In parlamento – spiega Donata Monti, dell’associazione Proseguo – ancora non è in discussione un disegno di legge vero e proprio, nonostante sia evidente l’urgenza di una norma ad hoc, che del resto è presente in numerosi altri paesi europei». Una bozza, tuttavia, è stata presentata dal ministro della giustizia, Paola Severino. Ma da quello che è trapelato attraverso gli organi di stampa, essa fa riferimento non già ai “cittadini”, bensì ai “consumatori”. Il che comporterebbe tutta una serie di problematiche giuridiche: come si determina lo status di “consumatore”? E se lo si perde, non si è più “protetti” dalla legge?L’usura, invece, è ovviamente punita da tempo da norme specifiche. In particolare dalla legge 108 approvata nel 1996. Le “falle” però non mancano neanche in questo caso: l’arresto dell’usuraio è disposto solo se il malvivente è colto in flagranza di reato, il che avviene molto di rado. Il più delle volte si passa per un tribunale, e i tempi della giustizia italiana, si sa, impongono lunghe attese. Senza contare il fatto che la sola valutazione del tasso di interesse effettivo comporta, spesso, onerose perizie e consulenze. Tutte inefficienze che non fanno altro che aiutare il racket dell’usura.
© RIPRODUZIONE RISERVATA