Alla ricerca del Natale perduto

Praticamente ogni anno con l’avvicinarsi delle feste natalizie sono costretto ad occuparmi delle diatribe legate alle tradizioni di Natale. Non mi riferisco alle diverse tradizioni sociali come scambiarsi auguri e regali, o culinarie come gustare delle prelibatezze tipiche di questo periodo o ancora commerciali come frequentare i classici mercatini che richiamano gente da ogni dove tra mille luci e addobbi colorati. Il riferimento è a quel particolare clima natalizio che fa del Santo Natale un unicum per una comunità civile e cristiana. Ed ecco il problema. Quell’aggettivo «cristiana» che si sente, si vive e si respira in ogni nostra comunità e che per certi versi finisce col dare fastidio a qualcuno al punto da essere responsabile di tensioni là dove dovrebbe esserci armonia, rammarico là dove contentezza, frustrazione là dove esaltazione. Eppure non mancano mai di questi tempi occasioni che certa gente ama gestire con una certa disinvoltura, mettendo i puntini sulle i. E i puntini quando vengono utilizzati, a proposito o a sproposito, lasciano il campo a interminabili discussioni da taluni girate e rigirate fino a sortire due effetti collaterali: risentimenti o indifferenza. Risentimenti verso chi riesce a imporre una sorta di relativismo etico per cui tutto viene visto e interpretato a seconda della comunità di appartenenza; indifferenza, motivo per cui per vivere tranquilli è sufficiente essere spettatori di quel che accade e tenersi lontani dalle decisioni. Basta essere neutrali e non schierarsi, ma così facendo si rischia di perdere la propria identità. Vediamo perchè. Partirei da Firenze dove la redazione del quotidiano «La Nazione» si è fatta promotrice dell’iniziativa «Presepiamoci». Si tratta dell’invito rivolto alle scuole del territorio di allestire un presepe all’interno dell’Istituto quale «ponte culturale tra Oriente e Occidente e messaggio universale». A sostegno dell’iniziativa scende in campo lo stesso direttore del giornale Pierfrancesco De Robertis per ricordare che il presepe «non è un qualcosa contro qualcuno, o contro qualcosa. E’ una «cosa» per noi. Per quelli che non hanno vergogna delle proprie radici, per quelli che non intendono la parola accoglienza come autodissolvenza». Che abbiano temuto di autodissolversi i genitori della scuola elementare di Travagliato in provincia di Brescia? In questa scuola, infatti, il mio collega con una comunicazione inviata ai genitori, invita i bambini a non portare doni in classe per Santa Lucia, perchè «è una tradizione del nostro territorio e molte persone non vi partecipano per motivi culturali e religiosi». E’ come voler dire scordati delle tue tradizioni, perchè il miglior modo per rispettare le tradizioni altrui è non rispettare le proprie. Peggio è andata a Fonte Nuova, alle porte di Roma, dove nella scuola dell’infanzia «Peter Pan» l’argomento principe di quest’anno non è la «natività», ma «le stelline» e tutto, perchè «la scuola è pubblica e laica» e le «stelline» evidentemente sono «laiche». Personalmente preferisco le stelle dei salumi «Negroni». Un bel guazzabuglio ha messo in piedi, invece, il mio collega di Rozzano. L’istituto «Garofani» è finito sulle pagine dei giornali e in televisione per la decisione del preside di non autorizzare la preparazione dei canti natalizi «nel rispetto delle minoranze poichè non è possibile introdurre elementi di carattere religioso a scuola». In alternativa si è proposto di festeggiare il 21 gennaio la «Festa d’inverno». Io farò di meglio. Da «nordico» proporrò in Consiglio di Istituto di festeggiare «Odino» il dio venerato dagli antichi popoli nordici. Intanto il Ministro Giannini manda gli ispettori per cercare di capire cosa sia veramente accaduto. Interessante la variabile antropologica del sindaco di Bologna Virginio Merola che si spinge oltre la tesi del rispetto del principio dell’inclusività per affermare che «identificare un popolo con una religione è una cosa che appartiene al Medioevo»(sic!). A questo punto un pensiero mi tormenta. Spesso, infatti, sento in me una strana sensazione. Da buon cristiano sento di essere la reincarnazione di un pellegrino francescano dell’Alto Medioevo. Che abbia ragione il sindaco di Bologna? Intanto fra presidi che non vogliono allestire presepi, altri che non autorizzano la preparazione di canti natalizi, altri ancora che non vogliono far rivivere la tradizione di Santa Lucia, si fa largo una tradizione tutta laica che pare riesca a mettere tutti d’accordo: il panettone! Negli ultimi giorni di lezione non c’è scuola dove non si tagli un panettone, non c’è preside che non ne mangi una fetta, non c’è insegnante o genitore che non ne assaggi una briciola. Dove c’è lui difficilmente nascono problemi di tradizioni o di canti, di cultura o di religione, di identità o di identificazioni. Il panettone è laico per eccellenza e rende il calice meno amaro. Di questo dolce non c’è traccia nei vangeli, nemmeno in quelli apocrifi, quindi non suscita problemi e va bene «in tutti i luoghi, in tutti i laghi». Di fronte a lui non si canta «Tu scendi dalle stelle», né «Bianco Natale». Al massimo si canta «La bella Gigogin» dopo aver bevuto qualche calice di troppo. Tanto può il panettone più di quanto non possono le tradizioni storiche e religiose tramandate dai nostri padri e che di generazione in generazione sono arrivate fino a noi oggi, ma che oramai non vengono più prese in considerazione per non urtare la sensibilità di chi la pensa diversamente. Di tutto questo ho un grosso timore: l’affermarsi dell’ignoranza. Parlo di ignoranza nel senso di non conoscenza della nostra storia, della nostra identità, della nostra cultura, dei nostri padri, da dove veniamo, dove nasce la nostra spiritualità, come si alimenta. Com’è possibile camuffare il Natale con la cerimonia delle «stelline» o non autorizzare i canti natalizi solo perchè non graditi a chi la pensa diversamente. Fa bene Alessandro Sortino giornalista e vice direttore di TV2000 a ricordare che «non basta certo un presepe o un crocifisso a colmare il vuoto dei nostri valori. Il vero problema in Italia è il non sapere, è la mancata conoscenza che la politica o chi fa politica attraverso altri canali cerca di raggirare con il simbolismo». E qui si apre un altro scenario. Il vuoto dei valori che porta conseguentemente a un vuoto culturale e a derive comportamentali. Ma questo è un altro problema.

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