«Algoritmi e intelligenza artificiale per un nuovo mondo»

Intervista al professore Alfio Quarteroni, numero uno della matematica: «Oggi, in Giappone, si usano già dei robot che assistono persone sole»

Algoritmi per un nuovo mondo”. È il titolo del nuovo libro del lodigiano Alfio Quarteroni, uno dei più noti matematici applicati, professore presso il Politecnico di Milano e l’Epfl di Losanna, membro dell’accademia nazionale dei Lincei e della European Academy of science.

Professore, perché questo libro e come è nato?

«Ho deciso di scrivere questo libro perché si parla moltissimo di intelligenza artificiale e di algoritmi, molto spesso a sproposito, soprattutto nei media senza cognizione di causa. Ho deciso di fare chiarezza su una questione che ritengo estremamente rilevante per il futuro di tutti noi».

La matematica, come evidenzia nel libro, e come abbiamo visto in questi mesi, ci aiuta a leggere la pandemia. In che senso?

«La pandemia ha scosso tutti. Abbiamo visto ogni giorno una infinità di dati. È impossibile riuscire a capire come evolve senza la capacità di interpretare questi dati. Abbiamo allora proposto una chiave di lettura attraverso un modello matematico della pandemia, dividendo la popolazione in tanti compartimenti: i suscettibili, gli infetti, i ricoverati, quelli che sono in terapia intensiva e poi i morti. E cercando le equazioni che reggono la dinamica del passaggio tra un compartimento e l’altro compartimento. Grazie a questo modello è possibile capire meglio quello che è successo in passato, durante la prima, la seconda e la terza ondata, ma anche cercare di prevedere cosa succederà nel futuro. Abbiamo esaminato molti scenari di quello che sarebbe successo se avessimo implementato delle misure di restrizione piuttosto che altre, e abbiamo aiutato il governo a prendere delle decisioni».

La matematica può essere utile anche alla medicina?

«Sì la matematica ha già un ruolo importante nella medicina. Utilizziamo la matematica per capire come si comporterà un organo complesso come il cuore umano che va soggetto a tante possibili patologie. Analizziamo alterazioni del ritmo come aritmie, tachicardie e fibrillazioni, coronarie che si occludono, valvole che si logorano per capire come, grazie alla matematica, possiamo fare delle migliori diagnosi, ma anche aiutare nella cura e perfino nel disegno di nuove procedure chirurgiche».

Se dovesse re-iscriversi all’università farebbe ancora le stesse scelte?

«Se dovessi consigliare a un giovane studente oggi, che si accinge a sostenere la maturità quale università scegliere, non esiterei a consigliarli caldamente di iscriversi a matematica, purché ne abbia la passione. Mai come oggi la matematica sta alla base di tantissimi processi decisionali. Capire la matematica, riuscire ad applicarla in tantissimi ambiti differenti del nostro vivere, può fornire ad un giovane ragazzo una chiave di lettura per comprendere le complesse dinamiche che oggi regolano la nostra vita, oltre che rappresentare una eccellente opportunità professionale».

Durante la pandemia c’è stata una evoluzione delle sue ricerche o non ce n’è stato bisogno e ha applicato al nuovo fenomeno le competenze di prima?

«Si crea continuamente nuova matematica, lo si è fatto anche per la pandemia. Abbiamo dovuto adattare conoscenze antiche a un fenomeno completamente nuovo. Per fortuna in tutte le scienze, in particolare nelle scienze di base ci si rinnova continuamente per essere pronti ad affrontare le nuove sfide».

È molto interessante il capitolo sull’intelligenza artificiale e il machine learning. Ne parla, per esempio, nell’applicazione ai veicoli a guida autonoma. È possibile prevedere tutte le eventualità che possono verificarsi su una strada e quindi garantire che l’auto sia sicura?

«La guida autonoma rappresenta una grande sfida tecnologica dei nostri giorni. Naturalmente, oggi, le macchine sono dotate di telecamere e sensori, che permettono di ricostruire in modo accurato quanto succede intorno al veicolo in movimento, quindi teoricamente di poter reagire ad ogni possibile imprevisto, grazie agli algoritmi codificati nei comandi elettronici dell’auto. Io penso che, se non oggi, nei prossimi 5, 10 anni, avremo a disposizione veicoli a guida autonoma assolutamente sicuri. Naturalmente c’è ancora molto da fare, specialmente per quanto attiene alla regolamentazione giuridica di questo nuovo modello di trasporto».

Un’altra applicazione del machine learning riguarda la capacità di profilare clienti per realizzare pubblicità traccianti: come possiamo difenderci?

«Ogni volta che accediamo al web o ai social media lasciamo molte tracce di noi, attraverso i siti web che consultiamo, gli acquisti che facciamo in rete, i like che mettiamo sotto determinate frasi, o foto, o altro. Si stima che 200 like permettano agli algoritmi sofisticati del machine learning di profilarci quasi integralmente, al punto da avere una conoscenza di noi stessi superiore a quella che noi abbiamo di noi stessi. Allora, è evidente che si può fare di questo un uso buono e un uso meno buono. L’uso buono perché se esistono algoritmi che ci conoscono bene, sapranno consigliare i nostri acquisti, le nostre scelte. Tuttavia, questi algoritmi sono nelle mani di altre istituzioni, dei grandi player dei social media, quali Google, Apple, Microsoft, Amazon, e naturalmente nessuno di noi può sapere esattamente che uso se ne farà. Abbiamo dunque tutto il diritto di pretendere che gli organismi nazionali e sovranazionali regolamentino questo uso di dati, lo rendano non arbitrario, ma controllato».

Ha scritto che è sottesa al machine learning una diversa modalità di approccio scientifico, da Popper (verifica di teorie e ipotesi) a Bacon, dall’esperienza empirica alla scoperta scientifica. Ci può spiegare in che senso?

«

Oggi gli algoritmi dell’intelligenza artificiale utilizzano esclusivamente i dati, pretendono di estrarre tutta la conoscenza dalla sola analisi dei dati, indipendentemente dal contesto che li ha generati. Questo è un approccio completamente nuovo, vorrei dire empirico che si contrappone all’approccio più tradizionale che usa modelli fisici, matematici, le leggi universali che codificano il comportamento della natura, ma anche di tanti processi biologici, industriali, economici e sociali.

Da un lato, quindi, c’è la conoscenza che si estrae solo dai dati ovvero dall’osservazione, dall’altro c’è la conoscenza che è stata scritta, nella roccia, dai grandi scienziati che ci hanno preceduti. Queste sono le due contrapposizioni fondamentali. Oggi si vive, in ambito scientifico, questo tipo di contrapposizione, in modo, vorrei dire, quasi dogmatico. Domani dobbiamo pensare che si possano riconciliare questi due punti di vista come ci hanno insegnato Newton e Galileo: l’esperienza e l’osservazione è prodroma alla formulazione, di teorie scientifiche, che poi vanno verificate sulla base ancora dell’esperienza. Credo che far coesistere un approccio totalmente esperienziale, basato sull’analisi dei dati, con un approccio basato sulle leggi fisiche, sui modelli matematici, sia una delle grandi sfide scientifiche che ci stanno davanti. Noi ci stiamo lavorando. Abbiamo già risultati estremamente importanti e incoraggianti in questa direzione».

Il nostro futuro è nelle mani dell’intelligenza artificiale? Ci sono dei limiti di carattere etico - antropologico?

«Oggi in Giappone si usano robot gestiti dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale che assistono persone sole (sono “badanti” tecnologici), che sono in grado di reagire allo stato d’animo di queste persone leggendolo nei loro occhi, analizzando la loro espressione facciale. Abbiamo algoritmi dell’intelligenza artificiale che riescono, come dicevamo prima, a capire quasi tutto della nostra personalità, e a prevedere per quale partito o candidato-presidente voteremo. Ogni giorno scopriamo algoritmi che fanno cose nuove, inventano nuove canzoni, scrivono nuove poesie e trovano il partner ideale per le persone single. Ci sono dei limiti alla loro intrusività nelle nostre vite? È difficile dirlo. È difficile oggi capire se questa continua evoluzione possa essere limitata e quale sia effettivamente il confine, tra algoritmi e comportamento umano. La grande questione che ci si pone è se domani gli algoritmi saranno in grado di provare sentimenti che sono tipici oggi della sfera umana, quali passione, gioia, dolore, emozione. Oggi, per fortuna, non è ancora così, ma credo che non ci sia nessuno al mondo in grado di assicurare che, domani, anche questo, non diverrà possibile».

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