Agenda digitale, ultima chiamata

È l’ennesima svolta, speriamo che sia (almeno questa volta) quella definitiva perché l’Italia, come denuncia un recente rapporto di Assinform, non può più aspettare. Il Governo ha nominato il nuovo responsabile per l’Agenda Digitale Italiana: Francesco Caio, ingegnere, attuale amministratore delegato di Avio (ed un curriculum di tutto rispetto che va dalla posizione di Vice Chairman presso Nomura, passando per quella da a.d. di Cable & Wireless fino a quella, in tempi lontani, di responsabile divisione Telecom di Omnitel) avrà il difficile (finora!) compito di trasformare il libro dei desideri nel presente del nostro Paese.Tutto ha inizio a Bruxelles nel 2010. La CE vara la Digital Agenda: un piano strategico decennale, voluto dalla Commissione dopo la crisi finanziaria del 2008, che fissa obiettivi in materia di occupazione, produttività e coesione sociale. L’obiettivo principale della Digital Agenda è quello di “sviluppare un mercato unico digitale per condurre l’Europa verso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. L’Italia, però, è poco attenta al tema e fino alla primavera 2012 rimane a guardare, lasciando così due anni di vantaggio ai suoi competitor europei. Due anni, durante i quali da più parti si sono levate richieste per la designazione di un Ministro responsabile di una agenda digitale nazionale o, almeno, per l’avvio di un programma concreto che consentisse al Bel Paese di non restare al palo. Finalmente, qualcosa sembra muoversi con il Governo Monti. L’allora Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture, Corrado Passera, lancia una consultazione pubblica per dare l’occasione a cittadini, organizzazioni private o istituzioni pubbliche di esprimere il loro contributo in vista della definizione delle politiche di sviluppo del Paese basate sull’economia digitale. Contemporaneamente Passera istituisce una task force, un piccolo gruppo di esperti, coordinato da Alessandro Fusacchia (consigliere del Ministro), con il compito di “analizzare e individuare in tempi brevi le misure da attuare per creare in Italia un ambiente favorevole alle start up innovative”. Passano un paio di mesi, ma nulla accade. Il Governo, allora, prova la carta dell’Agenzia e, nel cosiddetto “Decreto Sviluppo”, istituisce (aggregando diversi enti già esistenti) l’Agenzia per l’Italia Digitale, con l’obiettivo di coordinare le azioni in materia di innovazione e promuovere le tecnologie ICT a supporto della Pubblica Amministrazione. L’idea è buona, ma la politica si divide sullo statuto dell’Agenzia e soprattutto sul nome da mettere alla guida: ci vorranno altri quattro mesi per avere un nome condiviso, non senza strascichi di polemiche e qualche veleno politico. Al timone dell’AID è nominato Agostino Ragosa, CIO di Poste Italiane e consigliere di amministrazione di Postecom, che però dovrà aspettare altri quattro mesi per riuscire a firmare il contratto con il quale ne diventa, ufficialmente, il direttore generale. Nel frattempo, però, cade il Governo e l’Italia entra nell’impasse politico-istituzionale che ha trovato una soluzione solo grazie al Governo Letta. Appena il tempo a che il Governo si formi ed inizi a lavorare e l’Agenda e l’Agenzia tornano al centro del dibattito politico e mentre i partiti scalpitano per rivederne lo statuto, boccone amaro lasciato da Monti e mai digerito fino in fondo, Enrico Letta decide di avere una presa forte sul tema. Si arriva così alla recente attualità con la nomina di Francesco Caio, che sarà affiancato da un comitato di esperti tra cui Francesco Sacco (Bocconi), Luca De Biase (Fondazione Ahref) e Benedetta Rizzo (organizzatrice dell’evento think net VeDrò). Caio si è detto onorato “della fiducia accordata dal Presidente del Consiglio”, ma già montano i primi malumori per un incarico che, come chiarito dallo stesso interessato, sarà solo part-time.

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