Le crisi sono due: geopolitica e finanziaria. Intrecciano giochi di guerra e di monete. Sullo sfondo un riassestamento, che potrebbe essere drammatico, delle fonti energetiche e delle dipendenze interconnesse, provocato dalla tragedia di Fukushima, che si sta trasformando in un disastro non solo ambientale. Scenario da incubo, sulle piazze finanziarie europee e americane, che potrebbe cambiare i connotati della geoeconomia mondiale. Insomma bisogna attrezzarsi, perché si sta affacciando un nuovo ordine “postcatastrofe”. Dove Pechino conterà ancora di più, anche se per ora sta a guardare e manda segnali. La manina cinese alzata per dire «ci siamo anche noi», dopo lo scandalo che al Fondo monetario internazionale ha portato alle dimissioni del direttore Strass-Khan, cane da guardia dell’euro ben più deciso di tutti i suoi colleghi europei della Bce, ha messo in moto un percorso che porterà a nuove alleanze e forse a nuove regole, sullo scenario delle relazioni internazionali.

Il passaggio è delicato, perché

molte cose sono accadute, e tutte insieme.

C’è la questione del debito sovrano greco e del sostegno di Eurolandia ai propri paesi poco virtuosi, che sono molti di più di quelli che implodono con fragore.

C’è la questione del debito pubblico americano, che cresce più di quanto cresca l’economia e che prima o poi, se la ripresa non ci fosse nei termini sognati, rischia di provocare altre macerie, perché dovrà essere comperato a rendimenti maggiori di quelli attuali.

C’è la questione del dragone cinese, che ha stabilito una contropartita ai salvataggi (interessati) di tutto ciò che rischia di schiantare.

E infine c’è il problema energetico giapponese, che si affaccia su un palcoscenico ricco di incognite e di attori disposti allegramente a sbranarsi tra loro.

Se il Giappone perde il suo nucleare, infatti, anche Tokio

entrerà nella spira della dipendenza energetica in un’area dove tutte le rotte commerciali marine sono controllate dal Dragone cinese.

Cosa faranno gli Stati Uniti?

E soprattutto, cosa farà il Giappone per avere l’appoggio Usa di fronte agli appetiti di Pechino?

Il gioco ruota attorno alla gestione del debito americano, per buona parte nelle mani di giapponesi e cinesi. Il rischio di ricatti incrociati non fa dormire sonni tranquilli a nessuno.

Eppure è la Cina, ormai, a dettare regole e tappe. Ha prenotato per il futuro un posto alla guida del Fondo monetario internazionale, ha spiegato agli europei che senza di lei nessun fondo sovrano può essere sostenuto. Insomma ha avviato l’ultima fase di apertura dello yuan al mercato mondiale, avvio di una stagione delicatissima per l’economia cinese e per l’intero sistema finanziario mondiale.

Oggi lo yuan non è ancora pienamente convertibile, cioè si procede per accordi stipulati volta per volta, garantiti dalla maggiori istituzioni finanziarie internazionali.

Quando si arriverà al pieno allineamento della moneta cinese, sarà chiaro chi governa il grande gioco. Potrebbe essere un bene, perché secondo alcuni analisti oggi la situazione finanziaria è artificiale. In realtà la domanda vera non riguarda il bene o il male, ma la democrazia finanziaria. Nel futuro del mondo sicuramente c’è una nuova Bretton Woods, con un ruolo maggiore, nella governance globale, dei paesi emergenti, Cina ma anche India, Brasile, Turchia, oggi spesso creditori del sistema. Tutto ciò sta nella logica del capitalismo.

Ma i signori dello yuan sapranno fare in modo diverso dai signori del dollaro o dell’euro, e organizzare un nuovo ordine, fondato su un consenso ampio, non solo dei ricchi?

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