Si può esultare per una vittoria al Campionato mondiale di calcio mentre, sul video scorrono i titoli sull’ennesima tragedia nel Mediterraneo, sugli scontri e sui massacri provocati da guerre e terrorismo? C’è un modo di fare festa senza offendere la sofferenza, c’è un modo di condividere la sofferenza senza spegnere una festa? Ogni giorno i media e ancora più la vita pongono di fronte a queste domande che da sempre accompagnano l’uomo nella ricerca della verità e della felicità.Filosofi, teologi, psicologi ne hanno parlato e scritto a lungo ma la provocazione ritorna in ogni tempo ed entra in profondità nella vita di una persona, la mette a soqquadro oppure, al contrario, la rende indifferente.Ai bordi della cronaca si possono forse cercare e trovare risposte che siano fuori dai luoghi comuni e dentro il travaglio della coscienza.È un esercizio impegnativo che nasce ed è sostenuto dal desiderio di dare un significato all’esistenza, al compito e al destino dell’uomo. Nasce ed è sostenuto dalla bellezza e dalla fatica di un pensare che non porta un pallone contro un gommone, e viceversa, ma conduce a un’altura intellettuale e morale che, di fronte a eventi così diversi tra loro, inquieta ma non disorienta, distingue ma non separa.Un esercizio che non si può fare senza una pausa e questo sostare, nel tempo in cui la velocità si impadronisce di tutto e di tutti, è una scelta controcorrente.In Brasile le partite di calcio si susseguono e nel Mediterraneo i barconi colmi di persone disperate continuano la loro dolorosa e spesso tragica navigazione.Si vedranno ancora gli occhi e i gesti dei tifosi urlanti sugli spalti, si vedranno gli occhi e i gesti dei profughi mentre sbarcano o vengono tratti in salvo tra le onde.La sfida è quella di non cancellare né gli uni né gli altri e a partire dalla volontà di leggere quegli occhi, senza abbassare i propri, perfino il telecomando servirà più a cambiare mentalità e cuore che cambiare canale.Il pallone e il gommone non sono dunque immagini da separare ma da accostare perché dal loro apparentemente ingiustificato contatto può venire quella scintilla che rompe il buio dell’indifferenza oppure ravviva la coscienza di quanti allo stadio si divertono senza mettere fuori gioco l’impegno e la riflessione per la giustizia e la pace.Forse questo è solo un sogno, nient’altro che un sogno, anche se diverso da quello chiesto a gran voce dai tifosi alla squadra del cuore.È il sogno di chi sente interrogato da quelle folle di disperati che arrivano sulle nostre coste e ugualmente si sente interrogato da quelle folle colorate e vocianti attorno a un rettangolo verde dove corrono uomini e ancor più corrono soldi.Il sogno - sospinto dagli accostamenti dei servizi giornalistici - è quello di mettere a confronto due realtà umane perché la loro scandalosa differenza diventi una provocazione non moralistica per l’opinione pubblica.Il pallone mondiale non si può fermare davanti a stragi infinite ma neppure può finire la sua corsa in fondo a una rete tra gli applausi e i fischi. E neppure il pallone mondiale può essere considerato il simbolo del nulla e dell’indifferenza di fronte a cadaveri e macerie.Il pallone mondiale deve arrivare accanto al gommone.Ai bordi della cronaca, e anche di un campo di calcio, il sogno del viandante mediatico è che cresca e si diffonda la forza della verità sull’uomo perché dal suo crescere e dal suo diffondersi dipende l’esito della partita mondiale per la giustizia, la pace, la solidarietà.

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