Perché il giudice vuole nuocere alla memoria di Giovanni Sali?

Egreglo Direttore, mio malgrado devo chiederle di ospitare sul suo giornale queste righe perché solo così posso cercare di contenere gli esiti di propalazioni giornalistiche equivoche e gravemente lesive del ricordo di una cara persona. Mi riferisco agli strilli cubitali apparsi in questi giorni sulla stampa che, ispirati dal Procuratore della Repubblica di Lodi, ascrivono la morte del Carabiniere Giovanni Sali a suicidio.

Ho letto frasi virgolettate attribuite al Procuratore (e non smentite) che avrebbe detto che: “Tutti gli elementi di inchiesta ci portano al gesto estremo... oltre alla polvere da sparo sul guanto destro di Sali, di gran lunga superiore alla quantità trovata sul guanto sinistro, non cl sono segni dl colluttazione sul corpo del militare... non è mai emerso nessun elemento valido in grado di far pensare che Sali potesse essere stato ucciso. Per noi il caso non è un omicidio.... non andremo avanti solo perché siamo certi che la richiesta non verrebbe accolta per una questione normativa”.

Effettivamente il pubblico ministero dl lodi, nel mese dl gennaio di quest’anno, ha presentato al Giudice per le indagini preliminari una richiesta di archiviazione del procedimento di indagine apertasi a seguito dell’omicidio di Giovanni Sali per insussistenza del reato ipotizzata attesante “la natura chiaramente suicidaria”, e precisando che tale richiesta appariva doverosa anche nei riguardi della collettività lodigiana ancora oggi comprensibilmente turbata dall’idea che un appartenente all’Arma dei Carabinieri in servizio possa essere ucciso a colpi di pistola in una via del centro di Lodi.

L’omicidio dl Giovanni Sali (verso il quale, si ricorderà, sono stati esplosi ben tre colpi d’arma da fuoco) risale al 3 novembre 2012 e da quel giorno, ininterrottamente per oltre quattro anni, la stessa Procura della Repubblica e tutte le Forze dell’ordine locali (e non) hanno svolto indagini intensissime e di ogni tipo.

In realtà Giovanni Sali era l’ultima persona al mondo che si sarebbe tolta la vita e nelle argomentazioni portate dal Pubblico Ministero a sostegno della sua originale teoria (sorprendente davvero, non fosse per altro per il fatto di essere logicamente inconciliabile con anni di ricerche dell’omicida svolte proprio dal suo ufficio), argomentazioni fondate in larga parte su presupposti del tutto errati e per altra parte su congetture per nulla plausibili (giusto perché ne ha parlato il Procuratore ai giornalisti, i guanti del Carabiniere non sono stati neppur menzionati dal PM nella sua richiesta di archiviazione nella quale si faceva improprio riferimento solo alle maniche e ci si chiede perché sia stato detto anche cheiI guanti stessi sono stati trovati a metri di distanza dalla posizione dei cadavere e, in fondo, quale sia la rilevanza dirimente della presenza in quantità diverse di tracce di polvere da sparo sui due guanti in relazione alla tesi suicidaria).

Già all’epoca era sembrato di riconoscere una certa autoindulgenza rispetto agli insuccessi delle investigazioni durate anni (insomma, non vi è stato alcun reato e, quindi, non è colpa di nessuno se non è stato trovato qualcuno o qualcosa che non c’è mai stato).

La moglie e le figlie di Giovanni Sali, non potendo accettare che la memoria e l’onore del loro caro caduto in servizio (in moltissime caserme del territorio è appesa una sua fotografia in ricordo del suo sacrificio) venissero così impropriamente e ingiustamente deturpati, si sono opposte alla richiesta del Pubblico Ministero confutando (sulla base di elementi attinti dai suoi stessi atti di indagine) la sua teoria suicidaria.

È di questi giorni la decisione conclusiva del Giudice per le indagini preliminari che, disattendendo la tesi del PM, ha archiviato sì il procedimento ma per essere rimasto ignoto l’autore del fatto.

Dunque Giovanni Sali non si è affatto suicidato ma è stato ucciso da soggetto o da soggetti che l’inquirente non è riuscito a identificare.

Questo l’esito del processo che, a questo punto, è doveroso rendere noto nei suoi esatti termini anche con questa modalità (confidando che lei voglia pubblicare questa lettera) per smentire, per quanto possibile, l’inaccettabile affermazione di verità mediatiche fuorvianti.

L’articolato e analitico provvedimento con il quale il Giudice ha disposto l’archiviazione del procedimento dì indagine ha preso in attentissima considerazione ogni elemento acquisito e ha infranto tutte le certezze del Pubblico Ministero confutandole una per una.

Tuttavia ciò che, soprattutto, rende apprezzabile il provvedimento in argomento lo si legge in sua chiusura: “Purtroppo, sommessamente e mestamente, bisogna ammettere che la morte dell’Appuntato Sali è rimasta, allo stato, un evento che rimane senza una ricostruzione storico-fattuale certa”.

Trapela da queste righe un sentimento di pudore dell’istituzione che è consolatoria e da pace a molte inquietudini, prima fra tutte quella accesa dal dichiarato intento del Pubblico Ministero di tranquillizzare la collettività lodigiana negando (con una assertività davvero fuori luogo) l’esistenza di un reato. Semmai la serenità della collettività lodigiana può essere turbata dal fatto che, dopo anni di indagini e un dispiego di risorse così imponente, non siano stati individuati i responsabili di un evento tanto grave come l’omicidio di un Carabiniere in città.

Soprattutto cl si deve sentire inquieti se, dopo tanti vani affanni, i responsabili dl quelle indagini vengono sostanzialmente ad affermare che le stesse sono state svolte inutilmente in quanto non vi era nulla da cercare sin dall’inizio (gli impropri argomenti portati dal PM per fondare la propria tesi poggiavano su elementi noti agli inquirenti già dai giorni immediatamente successivi all’omicidio).

Il leale e sereno riconoscimento di impotenza del sistema giudiziario reso dal Giudice, paradosso solo apparente, è, al contrario, un segno che conforta perché conferma che, in fondo, la verità è ancora l’obiettivo da perseguire e da affermare con immunità e ad ogni costo, anche quando non porta meriti e lustro, anche quando lo si deve fare sommessamente e mestamente.

La moglie e le figlie di Giovanni Sali, ovviamente, non possono pretendere che il suo omicida venga identificato e punito se ciò è divenuto oggettivamente impossibile.

Ma che non si dica che il loro caro si è ammazzato sì. l’hanno giustamente preteso e I’ordinamento, almeno ¡n questo, non le ha deluse.

Tanto tempo fa, in pieno furore di tangentopoli, ebbi ad indirizzare al suo giornale una lettera analoga a questa.

In quel caso muovevo critica ad interviste rilasciate da Pubblici Ministeri che addebitavano gli insuccessi delle loro Indagini alla omertosità dei lodigiani e manifestavo il mio personale rispetto per il silenzio nel quale si erano rinchiuse le persone accusate anche a fronte della verbosità dell’inquirente che non era riuscito a dimostrare la loro colpevolezza (dunque, il silenzio degli innocenti).

Scrivevo, tra l’altro, che i magistrati non possono mancare dl rispondere alla legge ma ai giornalisti sì.

Vent’anni dopo, a fronte del loro decoroso e ininterrotto riserbo, le vittime di un reato gravissimo devono subire la deturpante polemica giornalistica di un magistrato (quello che avrebbe dovuto rendere loro giustizia), anche dopo che il giudice lo ha smentito.

Non è In discussione il diritto dl ciascuno di esprimere le proprie opinioni ma qual è il senso e l’opportunità che un Pubblico Ministero che si è visto bocciare la propria originale tesi insista nel propugnarla mediaticamente nuocendo tanto gravemente quanto gratuitamente al ricordo collettivo di un Carabiniere morto in servizio e alla struggente nostalgia dei suoi cari?

Ma quali tempi moderni.

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