I ricordi agresti della corte Boni

Mi trovo a conversare piacevolmente, nella sua casa di Dresano, con il signor Boni Carlo detto Giacomo, che quest’anno festeggerà gli ottant’anni. Un traguardo importante, che lui attraverserà con piglio deciso ed ottimista. Mi ha ospitato per raccontarmi la storia agricola della sua famiglia e la lezione di vita che ha saputo trarne, un’esperienza che lo ha sostenuto in alcuni passaggi delicati della sua esistenza e a cui sicuramente, occorresse, saprà anche adesso che è un uomo anziano e saggio, fare riferimento: «Mio padre Domenico Bassano Boni mi insegnò che quanto più si ha paura, tanto più serve fare appello a tutto il proprio coraggio. Nella vita, chi si appoggia agli altri, prima o poi finisce per crollare. Ed invece bisogna andare avanti con le proprie gambe, sapere trovare la strada».

DA TERRAVERDEBella figura quella di Domenico Bassano Boni, contadino, nato nel 1898 nella frazione Terraverde di Corte Palasio. Egli era sposato con Maria Cappelli, figlia anch’ella di contadini, abitante alla cascina Dosso dello stesso paese. Lui era un uomo posato, con i baffi sottili, e l’espressione sempre sovrappensiero, come se un’inquietudine non svelata gli attraversasse permanentemente il cuore; lei, di un anno più anziana rispetto al marito, era una donna incantevole: scura di carnagione, aveva a propria volta occhi penetranti, profondi, velati da una profonda malinconia, che la rendevano ancora più bella.Domenico Bassano e Maria si erano sposati nel 1920 ed erano andati a vivere a Casalmaiocco, dove lui aveva fatto san Martino. Qui rimasero soltanto tre anni, e quindi si spostarono a Zelo Buon Persico in una cascina sita in via Melzo. Questa corte in paese era nota perché vi era stato affittuario un tale la cui moglie era conosciuta come una “medeguna”, ed erano tantissimi quelli che si affidavano alle sue cure.Purtroppo a metà degli anni Trenta capitò una brutta disgrazia: la signora Maria s’ammalò di tifo e morì nel giro di tre giorni, lasciando orfani cinque bambini, il più grande di 12 anni, ed il più piccolo di appena dieci mesi, cioè Giacomo Boni, testimone di questa odierno racconto. La terribile epidemia s’abbatté su questa donna già provata delle febbri e dalle polmoniti: a quel tempo la povertà si tagliava a fette, c’era davvero poco da mangiare, e si cercava di raggranellare soldi e cibi in natura per come si poteva; Maria ogni giorno andava ad un fosso per lavare la biancheria dei padroni, anche quando stava male e non si reggeva in piedi. Il marito non aveva come accompagnare Maria in ospedale. Non possedeva un cavallo per il trasporto e d’altra parte la donna era sopraffatta dalla spossatezza: sarebbe perita durante il viaggio.

UN UOMO GRANITICOQuando lei morì, a Domenico Bassano parve crollare il mondo. Ma fu in quei bruttissimi momenti che trovò dentro di sé il coraggio per non disperare. Disse a se stesso che quei suoi cinque figli, frutto dell’amore con la sua donna, sarebbero stati per lui la ragione più importante, l’unica, della propria vita. E così fece, impegnandosi sino allo spasimo delle proprie forze per garantire loro una posizione ed un futuro. Domenico Bassano era un uomo granitico, fedele alle sue certezze: il venerdì digiunava, la domenica era il primo della famiglia a recarsi alla santa Messa. Era un uomo benvoluto. Chi gli diede un significativo sostegno fu il signor Cosatelli, che era il proprietario dei terreni della cascina dove lui lavorava: quest’ultimo infatti gli propose, invece di continuare a fare il contadino, di subentrargli come affittuario. Domenico Bassano era preoccupatissimo di non riuscire a pagare il canone d’affitto, ma il signor Cosatelli lo incoraggiò. Le cose andarono bene e Domenico Bassano vide finalmente un po’ di luce. Egli continuava a vivere per il lavoro, perché questo era il presupposto per un sereno avvenire dei propri figlioli. Qualcuno gli aveva consigliato di prendere moglie, così che i ragazzi colmassero il vuoto di una carezza materna. Ma lui aveva preferito restare fedele al ricordo della sua amata Maria.

UN NUOVO INIZIOAlla fine degli anni Quaranta, il signor Cosatelli decise di cedere definitivamente i propri terreni e propose al suo affittuario Boni di acquistarli. Domenico Bassano questa volta ebbe proprio il timore di fare un passo troppo lungo: ci pensò a lungo, ma declinò l’allettante invito.Chi non si lasciò sfuggire l’occasione fu il signor Zacchetti, che possedeva già la corte e parte di terreni limitrofi. Rilevata la totalità della possessione, la nuova proprietà decise di condurre in autonomia azienda e campi, non rinnovando il contratto di affittanza con Domenico Bassano Boni. Per quest’ultimo fu un colpo duro e beffardo. A malincuore si trasferì a Dresano, affittuario di una piccola corte, di proprietà del signor Ferruccio Secondi. Era questi un ricco signore, possidente quasi dell’intero paese; la ricchezza non l’aveva reso altero: anzi si mantenne un uomo buono, generoso, e sopratutto onesto.A Dresano, a dispetto dell’iniziale nostalgia per Zelo Buon Persico, Domenico Bassano si trovò benissimo: si ambientò e prese parte alla vita sociale e politica del paese, divenendo consigliere comunale, rappresentante della Democrazia cristiana. Raggiungeva spesso Lodi, per seguire i mercati, a bordo dell’Aquilotto, mitica bicicletta dotata di funzioni anche elettriche.

TRE FIGLI AGRICOLTORITre dei suoi figli rimasero con lui: Giovanni Battista, agricoltore; Angelo, inizialmente “menalatt”, autista di un’azienda per la raccolta del latte nelle varie cascine del territorio, e che successivamente avviò un bar, prima a Castiglione d’Adda e poi, consolidatisi gli affari, nel più grande centro di Melzo; e infine il nostro testimone, Giacomo: egli, pur apprezzando la campagna, tanto che su una parete della sala tiene in bella vista un quadro raffigurante una casa colonica con un prato adiacente e le gallinelle che vi razzolano sopra, non ha mai fatto l’agricoltore. Al contrario, aveva cominciato a lavorare come garzone di prestinaio. Nel 1958, dopo il matrimonio, aveva rilevato una panetteria a Turano Lodigiano. Ma la struttura cadeva a pezzi, tanto che la polizia annonaria gli aveva intimato di chiudere bottega. Ma in quel paese, Giacomo trovò una straordinaria solidarietà: un fittavolo gli concesse un pezzo di terra per costruirvi ex novo il panificio con annessa casetta d’abitazione e garantì con la banca per il prestito da concedere. Al signor Giacomo Boni brillano gli occhi quando racconta della gente di Turano Lodigiano: si emoziona nel ricordare la figura di Edoardo Pettinari, sindaco comunista di quell’epoca, distante dalle sue idee politiche, ma che sapeva esercitare il ruolo di capo di un’intera comunità cittadina, e quando ad uno dei suoi abitanti arrivava una multa che lui riteneva ingiusta, senza mai guardare al colore politico dell’interessato, faceva il diavolo a quattro affinchè gli venisse tolta e, piuttosto, la pagava lui in prima persona.

UN GRANDE PASSOA metà degli anni Sessanta il patriarca Boni acquistò la corte dal signor Ferruccio Secondi, e l’intestò direttamente al figlio Giovanni Battista, poiché lui, ormai anziano, cominciava a tirare i remi in barca; inoltre una persistente fibrillazione al cuore lo costringeva a periodi di riposo. Morì poi nel 1974, a seguito di un incidente stradale.L’azienda agricola vantava in quegli anni una decina di bovine da latte, ma la maggiore parte del reddito era ricavato dalla coltivazione dei terreni presi in affitto.Giovanni Battista Boni era un uomo dal carattere deciso e molto taciturno; il suo impegno nel lavoro era encomiabile: di mattina lavorava sui campi, mentre la notte faceva i turni come operaio nella vicinissima azienda Icep, i cui impianti erano posti all’ingresso di Dresano. Dove trovasse le energie per condurre ambedue le attività era un mistero: forse le radici risiedevano nei suoi lunghi silenzi. Quello che gli importava era garantire ai propri figli una posizione.Nessuno di loro ha fatto l’agricoltore. Ma Giovanni Battista sapeva leggere i segni dei tempi, e comprendeva come fosse opportuno che con lui, su questo specifico ramo della famiglia Boni, relativamente all’agricoltura calasse il sipario. I suoi figli avrebbero scelto strade differenti, trovando le giuste soddisfazioni in altri contesti; sarebbe rimasta loro quell’identità bucolica, indispensabile per apprezzare le cose più semplici e belle della natura, e quel conforto che onestà e sobrietà sanno donare.

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