I tanti tesori archeologici del Paullese

Nel sottosuolo di Cossago, Villambrera e Molino d’Arese

Gentile Direttore,

Barbara Sanaldi (“Il Cittadino”, 25 ottobre 2017) ben ha descritto la suggestione che il territorio circostante Villambrera (Paullo) regala al visitatore. “La Villa del Miele”, come il toponimo suggerisce, evoca indubbiamente un passato molto antico e pervasivo, assieme alle vicine Cascina Cossago e Cossaghetto testimoni del dipanarsi del tempo e della storia che ha visto l’uomo come protagonista in questo angolo di Lombardia.

Molta della mia trascorsa attività di collaborazione con la Soprintendenza Archeologica ha avuto come obiettivo l’individuazione di tale presenza e, non di rado, le numerose conferme sono state motivo di grande emozione. Seppure oggi i riscontri siano normalmente molto compromessi dalle attività agricole che, con profonde arature sconvolgono gli antichi livelli di calpestio, allo stesso tempo tali attività portano in superficie materiale che, per chi sappia interpretarlo, parla chiaramente.

Così a volte si osservano così detti “microliti”, cioè minuscole schegge di selce, che l’uomo della pietra utilizzava come lame o raschiatoi nel corso della sua vita nomade, alla ricerca di selvaggina e frutti spontanei.

Molto più evidenti, sofisticate e “moderne”, le macerie di laterizio romane descrivono la lunga parabola della presenza di quel popolo il cui lascito non ha bisogno di descrizione.

La loro natura, tuttavia, non è sempre inequivoca e potrebbe spesso riferirsi indifferentemente a necropoli, insediamenti, discariche.

Solo scavi regolari possono certamente definire le diverse situazioni ed è quanto si tentò di fare, ormai una ventina di anni fa, nel campo a lato della strada sterrata che conduce a Villambrera, provenendo da Cascina Cossago, e di cui “il Cittadino” diede notizia a scavi conclusi.

Le informazioni del proprietario avevano chiarito il motivo della casuale distribuzione sul terreno di frammenti di laterizio romano: in passato il luogo era stato interessato da attività di scavo per una fornace, ma una struttura a ridosso della strada sembrava in buono stato e si decise di procedere con il sondaggio archeologico.

Venne così portata alla luce una minuscola tomba romana ottenuta allineando tegole a formare un vano rettangolare, ma che purtroppo si rivelò anch’essa parzialmente compromessa dalla cavatura dell’argilla.

Tuttavia fu possibile verificare che il defunto era stato cremato e le ceneri deposte in un contenitore di cosiddetta “ceramica sigillata africana”, un tipo di vasellame prodotto in nord Africa ad imitazione della ben più prestigiosa “sigillata arretina” centroitalica. Semmai un tempo presente, l’eventuale corredo era inesistente al momento dello scavo pertanto la datazione rimaneva incerta.

La presenza di cremazione, tuttavia, suggeriva un momento quando le pratiche di sepoltura cristiane non avevano ancora influenzato la popolazione locale, ma, allo stesso tempo, quando la sigillata africana aveva trovato uno sbocco in Pianura Padana. Considerato il contesto rurale, ciò potrebbe ipoteticamente suggerire secondo o anche terzo secolo dopo Cristo.

Il luogo era in quell’epoca anche attraversato dalla strada romana che da Cremona risaliva in via diretta a Milano e la cui esistenza fu inizialmente teorizzata dal prof. Fraccaro, seguito dal Prof. Tozzi dell’Università di Pavia, sulla base di osservazioni topografiche.

La conferma, tuttavia, si ebbe solo nel 1995 quando, su mia segnalazione e sotto la direzione della Ispettrice dr.ssa Jorio, si procedette allo scavo di una villa romana rinvenuta a Molino d’Arese (Tribiano), a lato della quale fu anche portata alla luce una sezione della strada romana.

Era in ottimo stato di conservazione, con una superficie molto compatta di ghiaia frammista a laterizio tale da dovere intervenire con piccozza per recuperare alcune monete smarrite da viandanti antichi.

Nel complesso, ricordo di essere giunto alla conclusione che il territorio a cavallo di quella strada avesse raggiunto una notevole presenza residenziale e che le varie comunità dimostrassero, attraverso i frammenti di vasellame visibile e anche alcuni oggetti, di aver raggiunto un ragguardevole livello di prosperità. Purtroppo abbiamo avuto anche, in modo sistematico, conferma di quanto avvenne con le invasioni barbariche quando gli edifici romani scomparvero tra le fiamme, polverizzando un tessuto umano ed economico consolidatosi in secoli di civiltà laboriosa.

Sulle rovine si insediarono a volte precarie strutture in legno, spesso ad opera di comunità barbariche, altre volte individui sopravvissuti alle invasioni, ma accomunati e infine amalgamati da una economia di sopravvivenza infima difficile da concepire, considerato lo splendore precedente.

Per risalire il baratro e giungere a Villambrera come è nota a noi oggi il percorso fu lungo, tortuoso e in salita, ma, come si suol dire, quella è un’altra storia.

Renato Bucci

Tortoreto Alto (Teramo)

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