Rocco Tanica, la bellezza di “inciampare” in una risata

Il musicista di Elio e le Storie Tese è stato ospite a Codogno per il premio Novello

La rottura delle convenzioni arriva già all’ingresso della sala-teatro-soggiorno, quale era venerdì sera l’aula magna dell’Itas Tosi di Codogno, quando ad aprire la porta è Rocco Tanica in persona. Saluta, stringe la mano al pubblico una a una. È la serata “big” del premio Novello voluta dal neo direttore artistico Andrea Fedeli, presente con l’assessore all’istruzione Maria Rapelli, e il tastierista del celebre gruppo Elio e le Storie Tese si presenta in una versione inedita.

Il collegamento con il direttore del tg La7 Enrico Mentana è disturbato, «sono qui a Codogno…no, non Cologno Monzese. Codogno», ripete l’artista (che è anche scrittore e conduttore televisivo) simulando una telefonata in diretta, «no, non per Novella 2000. Novello. Il premio Novello». L’effetto è di spiazzamento, e mentre a video scorrono improbabili news si sta mettendo in moto l’ingranaggio comico prediletto dal musicista, come svelerà lui stesso rispondendo alle domande del pubblico alla fine: «Non sono uno che ride facilmente – ammette -. Mi divertono la battuta involontaria, situazioni che mi suscitano un profondo imbarazzo e che su di me finiscono col produrre un effetto comico. Le gaffe di alcuni inviati dei telegiornali, ad esempio». Non le battute ben assestate quindi: per Tanica l’umorismo 2.0 attinge dall’inciampo, dal mare magnum di vanità, protagonismi, cialtronaggine cui sembriamo condannati, per dispiacersene ma poi riderci su, nell’atteggiamento bonario di chi non giudica.

Una bella lezione. Quella da canovaccio, su ciò che sa fare meglio, vale a dire la musica, Tanica la regala poi alla tastiera, «questo strumento dai tasti bianchi e neri», evocando David Bowie «dalle nubi» per parlare della voce «come motore della creatività» e sovvertendo il mainstream: «La stonatura crea la magia. Frank Sinatra aveva piccoli problemi d’intonazione, e Ligabue non ha una voce gradevole ma personale. L’imperfezione diventa cifra stilistica».

Che poi, a ben guardare «l’Inno alla Gioia di Beethoven è composto da cinque note come Fra Martino Campanaro. Il che può sembrare deludente e invece vuol dire che possiamo costruire tutti qualcosa di galattico». Parola di Tanica. Che poi però sposa la tesi di Maurizio Milani – quintessenza del comico, secondo il musicista -, quando esorta gli artisti o presunti tali a rispettare un patto: «Se vai a un concorso perché hai un sogno e ti “segano,” stabiliamo che poi abbandoni il sogno. Perché c’è un gran bisogno di panificatori, tecnici Anas…».

Il finale è poesia: il musicista legge il monologo del film The big kahuna. «Quando sono uscito dal cinema non ero più quello di prima», confessa. Applausi. Lui ringrazia e augura a tutti “Buona Notte”. Ora lo si può dire: quel tutti sono quattro gatti. Un peccato. Per chi non è venuto. Chi c’era si è goduto un Rocco Tanica incredibilmente “intimo”.

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