Raddoppiato in Italia l’export delle armi

di Nicola Salvagnin

C’è una voce, nell’elenco delle esportazioni italiane, che può vantare una performance positiva impressionante dal 2015 al 2016: un aumento dell’85,7%, fino a toccare quota 14,6 miliardi di euro. Applausi.

Ah, quale voce dell’export? Presto detto: sistemi militari, o più volgarmente armi. Ci battiamo bene a livello mondiale sia come produzione - con “campioni” nelle mani dello Stato italiano – che come vendite. Queste hanno raggiunto ben 82 Paesi in tutto il mondo. Ci facciamo i complimenti?

Mah. In teoria, cioè per quanto dicono le leggi italiane, il Governo dovrebbe esercitare una forma di controllo affinché le autorizzazioni rilasciate per la vendita di armamenti e sistemi d’arma impediscano agli stessi di finire in certe mani.

In pratica, quando vendi strumenti di morte a 82 Paesi del mondo, è chiaro che la selezione è stata fatta con manica larga, larghissima. Il Paese che più ha acquistato “tecnologia” italiana è stato il Kuwait, che è la Svizzera del Medio Oriente solo per quanto riguarda il reddito. Nell’elenco dei primi dieci Paesi compratori troviamo altre Svizzere come l’Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia.

Solo un terzo delle armi italiane viene venduto a Paesi dell’Unione Europea e della Nato. Più della metà finisce nelle mani di inquietanti governi del Nord Africa e del Medio Oriente, notoriamente zone tranquille abitate da pacifiche popolazioni.

Certo, questi regimi pagano e sono stati i nostri nonni latini ad insegnarci che pecunia non olet (8,6 miliardi di euro in un solo anno). Ma il tutto stona alquanto: prima vendiamo morte a certi “eserciti” che poi “producono” quelle migliaia di profughi che chiedono salvezza all’Italia. Ed è chiaro che, una volta vendute, queste armi possono fare giri molto larghi, come dimostra l’arsenale che aveva (ha) in mano l’Isis.

A questo nostro ragionamento ci sono tante obiezioni, in primis la classica: se non le produciamo e vendiamo noi, lo fanno gli altri. Sono quote di mercato. E allora teniamo questo filo del ragionamento, al di là del “bel mercato!” che sorge spontaneo.

Ok, le tecnologie militari sono importanti, ci sono stabilimenti produttivi, occupazione, indotto… C’è il bisogno di essere aggiornati, ed è vero che l’industria della morte è una delle più tecnologicamente sofisticate, con ricadute nei settori civili di un certo peso. D’accordo, ma allora si eserciti almeno un filtro preciso e intelligente sui compratori. E pazienza se questi si rivolgeranno ad altri venditori. Le ragioni del portafoglio devono andare a compromesso con quelle dell’anima.

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