«Se Atene piange, Sparta non ride» è un modo di dire che vuole sottolineare, nel nostro caso, come delle negative considerazioni non possono essere indirizzate verso una sola categoria o professionalità talché se certi genitori hanno delle precise responsabilità circa l’insuccesso scolastico dei propri figli, non meno responsabili sono i docenti. E allora si può promuovere tutti senza fare interrogazioni e senza alcuna verifica? No di certo. Eppure un’insegnante di Matematica e Fisica del Liceo Scientifico “Galileo Ferraris” di Varese lo ha fatto e ora è sotto processo, rischiando persino la galera per “falso in atto pubblico”. In questo caso l’atto pubblico è la pagella e il falso è aver messo a tutti nove nel profitto senza mai aver interrogato, senza mai aver fatto alcuna verifica. Dunque da dove sono venuti fuori i nove? «Io non ho bisogno di interrogare – si difende la prof - la mia valutazione si basa sul livello di attenzione degli studenti». Eh no mia cara professoressa. La legge richiede le verifiche e queste vanno fatte. Il docente è tenuto ad assegnare i voti dopo verifiche scritte o orali, svolte in classe o a casa. L’art. 79 del R.D. 653/1925 (tuttora in vigore) prescrive che «I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni». È pur vero che dobbiamo ricorrere a un Regio Decreto del 1925 per fare chiarezza, ma la giurisprudenza non ha età. Un discorso a parte rimane il chiarimento circa il significato del “congruo numero” di prove che tradizionalmente il contenzioso storico individua nel numero di almeno tre prove scritte e tre prove orali in un trimestre o quadrimestre o pentamestre che sia. A tal proposito vale la pena ricordare una sentenza del Tar Piemonte (sezione II, 24/07/2008) che accoglieva un ricorso presentato dai genitori di un allievo per «la violazione di legge in merito alla nozione di congruo numero di prove», ravvisando, il giudice, nel limite di tre il significato di “congruo numero” dietro il quale può ripararsi da contenziosi l’insegnante. E’ chiaro che qui si gioca l’equilibrio tra i diritti degli studenti e delle famiglie e i doveri di un insegnante, dovere al quale si è sottratta palesemente l’insegnante di Varese. Gli elementi raccolti dal preside scaturiti dalle lamentele dei genitori hanno fatto il resto e ora è sotto processo per “falso” con il rischio grosso di beccarsi fino a sei anni di carcere o quantomeno di essere cancellata dalle graduatorie. La stranezza in tema di valutazione messa in atto da questa insegnante, apre un varco su un problema concreto nelle nostre scuole: la verifica della professionalità docente. L’insegnante in questione è una supplente, inserita regolarmente in graduatoria, insolitamente portata a cambiare spesso provincia e questo la dice lunga sulla consapevolezza di un metodo poco ortodosso circa la valutazione degli allievi a lei affidati. Ma la questione porta con sé un altro gravoso problema su cui si è spaccata l’opinione pubblica: il potere dei presidi nella scelta dei docenti. Su questo la legge 107/15 aveva posto le basi per una forte virata, affidando ai presidi la responsabilità di scegliersi i docenti, ma poi sappiamo tutti com’è andata a finire. Una campagna a dir poco scriteriata contro la figura professionale dei presidi definiti ora “sceriffi”, ora “despoti”, ora “ranger”, ora “sindaci”, un fiorire di nomignoli sinistri che ha portato ad una strana coalizione tra famiglie, studenti, frange di docenti e sindacati. Tutti contro. Tutti contrari. Tutti pronti a sparare sul pianista. Ricorsi, scioperi, occupazioni. Un finimondo che ha condizionato il seguito. E infatti la cosiddetta “chiamata diretta” è stata annacquata nella sua stessa valenza legislativa tanto da portare alla ribalta un “preside-sceriffo” a salve, privato di un suo potere di scelta dei docenti, ma con le responsabilità mantenute in fatto di risultati e di raggiungimento degli obiettivi. A farne le spese, però, non è stato solo il preside, ma sono stati anche studenti e famiglie. Come la mattiamo con i ragazzi? Non credo che importi poco a studenti e famiglie trovarsi docenti inadeguati messi in cattedra non dai presidi, ma dal posto che occupano nelle graduatorie ad esaurimento, chiamate tali forse perché tendono ad esaurire la pazienza dei presidi. Non credo che sia di secondaria importanza il fatto che simili docenti ricevano lo stipendio alla pari di tutti gli altri che offrono, invece, il massimo in fatto di professionalità e di qualità dell’insegnamento. Ma per una certa cultura sindacale adeguati o inadeguati che siano tutti devono stare in cattedra mentre ai presidi “sceriffi” è lasciato l’arcano mistero di trovare la soluzione. Probabilmente alla fine del processo la docente verrà destinata ad altri compiti anche se qui siano di fronte a un fatto grave penalmente perseguibile: “falso in atto pubblico”. Quello degli insegnanti “svitati” è un problema serio che impone un’altrettanta seria riflessione. A scontrarsi sono due forti principi della nostra Costituzione ovvero il diritto al lavoro che qui si scontra con il diritto all’istruzione. Eppure una soluzione per la scuola potrebbe essere quella di collocare in ruoli diversi dall’insegnamento chi dà segni di “cedimento” professionale. D’accordo è anche vero che talvolta certi strani comportamenti scaturiscono da un livello di stress che condiziona la professionalità e allora la causa prima forse va trovata nella stessa scuola, tra i ragazzi, con i genitori, ma anche tra i colleghi dai quali dovrebbe aspettarsi un aiuto annullato spesso da una discutibile competizione, un trabocchetto che mette a rischio la stessa condivisione. Tutte situazioni che conducono all’usura psico-fisica tipica della professione docente, cosa che col tempo può portare a “svirgolare” in classe o a prendere decisioni didatticamente discutibili se non addirittura illegittime o illegali fino a finire sotto processo. Sono casi limite, ma pur sempre casi che devono preoccupare e dai quali non possiamo estraniarci con indifferenza, lasciando che certe strane idee trovino il favore di altri. Non vorrei dare ragione a Mark Twain quando dice: «Un uomo che ha un’idea nuova è uno svitato finché quell’idea non ha successo». Nel nostro caso a rimetterci sono i ragazzi.
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