Il laccio della siccità che soffoca l’Africa

Molte guerre sono unite da un filo rosso evidente, basta una cartina geografica per capirlo, ma pochi se ne accorgono. Accade così che si evocano motivazioni etniche o religiose, ma non ci si rende conto di un legame che sta invece sotto gli occhi di tutti. Un esempio è il grande Corno d’Africa, regione colpita da una gravissima carestia, che coinvolge 20 milioni di persone, legate da un terribile comune destino. I paesi interessati sono Somalia, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Sud Sudan e Sudan, ma anche altre nazioni confinanti (Uganda, Kenya e Yemen, nella penisola araba). In molti di questi paesi, l’instabilità politica, la guerra e il clima secco hanno provocato un mix letale, degenerato in una crisi alimentare che rischia di aggravarsi nel corso dei prossimi mesi, se le condizioni climatiche non cambieranno radicalmente in meglio, cosa assai improbabile.

Le crisi alimentari non sono una novità, anzi sono relativamente frequenti in queste regioni del pianeta, ma una definizione formale di carestia è assai rara, perché la definizione tecnica prevede che una famiglia su cinque in una data area sia colpita da una grave penuria alimentare, che il 30 per cento della popolazione sia malnutrita e che ci sia un tasso di mortalità di due persone su diecimila al giorno.

I conflitti e le fragilità politiche sono la principale causa della povertà e della penuria alimentare della regione, ma la siccità aggrava il problema. Nel 2016 ci sono state due stagioni delle piogge consecutive con precipitazioni scarse. In Somalia, per esempio, è piovuto meno della metà del solito. Anche la prossima stagione delle piogge, nei prossimi mesi, rischia di essere poco piovosa. Le cartine mostrano che tutta la regione del Grande Corno d’Africa è fortemente provata: lo conferma la combinazione di due indicatori, ovvero l’indice di stress evaporativo (in un arco temporale determinato, basato sulla temperatura della superficie del terreno registrata dal satellite) e l’indice di area fogliare (basato sulle osservazioni parallele di due satelliti, permette di misurare l’evapotraspirazione, cioè quanta acqua evapora dai terreni e dalle foglie; attualmente è insolitamente bassa e ciò sta ad indicare uno stato di grave sofferenza delle piante).

L’attuale siccità è legata a una condizione meteorologica che altera le temperature e le pressioni atmosferiche sull’Oceano Pacifico, con effetti su tutto il pianeta. Una situazione che riduce le piogge in Africa orientale e le aumenta altrove, per esempio in Malesia.

La gestione di una crisi alimentare può richiedere molto tempo, per questo l’individuazione tempestiva delle zone in pericolo è determinante. Nei paesi politicamente più stabili la siccità ha messo in difficoltà il sistema di produzione alimentare, ma dove i governi e le economie locali funzionano meglio la siccità generalmente non si tramuta in carestia, ed è quanto sta accadendo. La reazione efficace dei governi e le reti di sicurezza sociale possono fare la differenza tra una vera crisi e un ennesimo episodio di siccità legato alle condizioni meteorologiche. Laddove invece vi sono già in atto guerre o l’amministrazione è in mano a governi fragili o falliti, il binomio conflittualità armata – calamità naturale diviene un circolo vizioso mortale.

Il filo rosso della siccità che unisce tutta la regione dell’Africa orientale si divide così in due lacci: quello che porta alla carestia intere popolazioni e quello che invece viene gestito da amministrazioni più attente.

Vi sono infine situazioni di conflittualità latente che, con l’aggravarsi della crisi ambientale, si trasformano in guerre violente, conflitti ambientali, riducendo così alla condizione di “emergenza umanitaria complessa” vaste regioni di un’intera nazione. Sud Sudan, Somalia e Yemen sono i paesi che destano le maggiori preoccupazioni, ma il filo rosso che unisce tutto il Grande Corno d’Africa, se non gestito adeguatamente, può allargare il suo laccio mortale. La comunità internazionale deve attivarsi di più per scongiurarlo.

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