Che fine farà la “Buona Scuola”?

C’era una volta l’uomo col cacciavite. Così viene ricordato il Ministro Giuseppe Fioroni insediato al MIUR nel secondo governo Prodi per via dello smontaggio e rimontaggio di diversi decreti o circolari emanati dalla Ministra Letizia Moratti che l’aveva preceduto. E in effetti con un decreto dopo l’altro, una circolare dopo l’altra tante normative sono state da lui riviste e alcune addirittura cassate definitivamente. Tra queste conviene ricordare la messa in soffitta definitiva del «portfolio» dello studente che tante perplessità aveva suscitato tra i docenti, la sospensione dell’avvio della riforma degli istituti superiori con il conseguente ripristino degli Istituti Tecnici che erano stati «licealizzati» dalla Moratti, la revisione delle commissioni degli esami di maturità con il ritorno alla composizione mista tra docenti interni ed esterni con presidente esterno. Sono solo alcune delle più eclatanti iniziative smontate e rimontate dall’allora Ministro Fioroni tanto da portare la scuola in una fase di «movimentato stallo» (mi sia consentito l’ossimoro), costringendo noi presidi a rincorrere le novità introdotte alcune delle quali ancora in fase di rodaggio. Che anni!

Oggi dopo il varo della «Buona Scuola», con tutte le invettive che ne sono seguite e con i sindacati ancora sul piede di guerra, temo che si torni a rivivere ancora lo stesso clima. Con l’arrivo della Ministra Valeria Fedeli, infatti, appena insediata in Viale Trastevere, già piovono da più parti gli inviti a rivedere se non a cassare definitivamente la legge 107/15 meglio conosciuta come la legge sulla «Buona Scuola».

Il primo grido d’allarme è quello di restituire al Far West la figura del «preside sceriffo» che tanto spavento ha generato negli addetti ai lavori con le sue particolari prerogative, soprattutto in fatto di «chiamata diretta» e di assegnazione del bonus per il riconoscimento del merito tra i docenti, ritenuti dai sindacati atti forieri di tensioni e divisioni nell’ambiente scolastico.

E’ come dire che mettere un preside nelle condizioni di scegliere il personale docente o premiare gli insegnanti migliori è, per qualcuno, fonte di scandalo. Quindi si profila all’orizzonte la possibilità che venga rivista la proposta d’incarico triennale per i docenti con atto discrezionale del preside previo valorizzazione del curriculum e delle qualificate esperienze e competenze acquisite. Qualche passo in tal senso è già stato fatto proprio in questi giorni con la firma dell’accordo ministero-sindacati sulla mobilità territoriale. Siamo probabilmente solo all’inizio della revisione di alcuni commi della legge 107/15.

Non vorrei vedere un film già visto con il Ministro Fioroni. Sarebbe un vero peccato se la «pax sindacale» dovesse passare da una retromarcia ministeriale. E’ pur vero che le tensioni non aiutano il dialogo e quest’ultimo è determinante quando le posizioni sono lontane le une dalle altre.

Nessuno nega che la legge sulla «Buona Scuola» abbia creato un clima di tensioni tra docenti e tra questi ultimi e i sindacati, accusati a loro volta di non aver fatto gli interessi della categoria, lasciata in balia dei numerosi problemi conseguenti all’applicazione della legge fortemente contestata fin dal suo nascere.

Ancora oggi ci sono docenti che si trovano in condizioni di lavoro estremamente disagiate, lontani migliaia di chilometri da casa e tutto per colpa di un algoritmo che i tribunali hanno corretto, ripristinando i diritti illegittimamente calpestati. Ma la scuola non può essere governata dai tribunali e allora occorre mettersi attorno a un tavolo e cercare in tutti modi di trovare quei punti in comune tra esigenze della classe docente e aspettative di famiglie e studenti. Talvolta, purtroppo i bisogni e gli interessi degli uni non coincidono con quelli degli altri. Una cosa però è certa.

Già dai suoi primi passi la Ministra Fedeli, ha ampiamente dimostrato di prediligere il lavoro di squadra e questo stile sono convinto che porterà buoni frutti. Lavorare insieme è difficile perché talvolta richiede una capacità di mettere in dubbio le proprie posizioni, ma questo stile è la vera risorsa del gruppo perché da un atteggiamento empatico possono scaturire risultati interessanti. E’ assurdo pensare di non aver bisogno di collaboratori, di non aver bisogno di altri, facendo leva esclusivamente sulla propria convinzione di non avere limiti.

Si può essere bravi fin che si vuole, ma senza un team con cui entrare in confronto sinergico, si può solo scivolare nella chiusura di rigide interpretazioni, facendo della flessibilità di pensiero una variabile insignificante. Allora val la pena ricordare Omero quando dice che: «Lieve è l’oprar se in molti è condiviso».

Personalmente spero che questo nuovo stile della nostra Ministra, che fonda l’opera su uno strato empatico, possa ben presto portare beneficio e soprattutto possa mantenere al centro l’attenzione sulla scuola con tutti i suoi problemi e tutti i suoi contrapposti interessi.

La legge sulla «Buona Scuola» nonostante le numerose ripercussioni negative che ha generato, rappresenta nel lungo termine la via maestra per rafforzare il desiderio di qualità dell’insegnamento.

Nello scenario politico generale la scuola, negli ultimi tempi, ha acquisito più peso nell’osservatorio nazionale, portando con sé più risorse in termini di professionalità e investimenti, tuttavia non ha ricevuto altrettanto interesse in quanto a condivisione.

Ecco perché la nuova strategia operativa, che fa leva sul necessario rapporto sinergico, potrebbe restituire valore all’azione iniziata con correttivi che non devono tuttavia stravolgere sostanzialmente l’impianto complessivo della riforma avviata.

Ecco perché ritengo sbagliato parlare di «controriforma» della scuola così come da qualche parte si vuole affermare, perché ciò significherebbe l’assenza di una vera strategia scolastica. Tali iniziative, infatti, si affiderebbero ad azioni episodiche che rischiano di appiattirsi sulle esigenze del momento, che vede nelle soluzioni tradizionali le sole in grado di garantire la «pax scholae» a danno delle idee innovative più rispondenti alle nuove sfide che incombono.

Non vorrei interpretare il ritorno alle soluzioni antecedenti la «Buona Scuola» come ad una tattica finalizzata a ricostruire un consenso o, peggio ancora, a generare una specie di «cortina fumogena» opportunamente alimentata per nascondere i reali problemi rappresentati da una scuola in piena crisi d’identità.

Una crisi dove metodologia, didattica e pedagogia sono messe costantemente in discussione fino a rappresentare un rischio formativo davanti alle nuove sfide sociologiche, tecnologiche e all’attuale fase storica che la scuola è chiamata ad affrontare. Sono solo dubbi.

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