Si ergono in fila a decine e decine. Ognuna reca un nome e una data, spesso la stessa. Sono nude croci, assiepate una a fianco dell’altra proprio come i corpi dei soldati sepolti là da più di cent’anni: sono le croci di un piccolo cimitero di guerra austroungarico. Il sole che cala fra i pini sull’altopiano di Lavarone è davvero mite per essere fine dicembre, mentre un vento frizzante muove le bandiere italiana ed austriaca, anch’esse a garrire vicine. Sedici milioni di morti costò l’inutile strage della Prima Guerra Mondiale e non c’è che andare sui luoghi del conflitto, leggere qualche notizia che vada oltre i trafiletti dei libri di storia per capire quanto furono tragici quegli anni e quante vite furono orribilmente spezzate dai mortai o interrotte dal gelo della “morte bianca” in trincea. E noi oggi quale pace speriamo?Da pochi giorni il nuovo anno ha mosso i suoi primi piccoli passi e mi fa sorridere che qualcuno voglia chiamarlo 2016 bis per scaramanzia… Piuttosto che rifuggire i numeri che la tradizione vuole infausti, che cosa davvero siamo capaci di riprometterci per questo 2017?Guardando la devastazione simbolo (ma ahimé reale) di Aleppo, voglio immaginare senza censurarmi, tutti gli altri, troppo numerosi, scenari di guerra che le nostre coscienze da zapping accettano supine o neanche conoscono. L’Italia non è in guerra, ma il mondo sì… e la pace è la dimensione più globale che si possa immaginare. Come possiamo essere in pace sapendo che qualcun altro non lo è? Come possiamo festeggiare la pace il primo giorno dell’anno e non sentire il grido di chi vive sotto la minaccia delle armi? Poco distante dal cimitero, al Forte Belvedere, dove gli austriaci si difendevano dagli obici dell’artiglieria italiana, un altoparlante riproduce in loop l’urlo del soldato che comanda il fuoco, il lancio e l’esplosione: è un rumore infernale quello di un bombardamento: entra nelle viscere e nel cuore. Lo ha mai sentito con le sue orecchie chi decide oggi per la guerra? Sa il significato di parole come Caporetto, Auschwitz, Hiroshima, Saigon o Srebrenica? Quante stragi saranno ancora necessarie perché l’uomo capisca che la guerra non porta altro che guerra? Historia magistra vitae, si dice, ma non è così… oppure la nostra storia è una esausta insegnante precaria che ha ormai disperato bisogno di trovare una cattedra. Ci sono uomini, cosiddetti potenti, che possono decidere di evitare o interrompere conflitti sanguinosi. Ci sono nazioni, cosiddette evolute, che potrebbero fare della politica e della democrazia degli strumenti di concordia e progresso. Chi sono quelli che oggi hanno in mano le sorti del mondo?Sono forse nascosti e più in alto rispetto alle poltrone dei presidenti degli Stati e dei primi ministri, hanno le leve dell’alta finanza e dell’economia globalizzata, ma mi chiedo se non siano stati anche loro bambini, se non abbiano avuto anche loro paura e se i loro nonni o bisnonni non gli abbiano mai raccontato di quando la guerra mordeva vicino alle loro case e alle loro stesse famiglie.Davvero siamo un mondo senza memoria e senza memoria anche la coscienza si atrofizza.Qualcosa mi dice che se ogni signore della guerra potesse appoggiare l’orecchio sulla morbida terra su cui sorgono quelle croci a Lavarone sentirebbe sommesso ma nitido un canto comprensibile a tutti, un coro grave che dice: “Mai più!”E noi? Noi che “non c’entriamo niente”? Noi uomini e donne per bene, che facciamo ligi la raccolta differenziata e salutiamo il vicino della porta accanto? Noi che ci scandalizziamo per le immagini violente rimpallate dai telegiornali e biascichiamo qualche commento a bassa voce, con la faccia contrita, quando qualche sequenza è un poco più cruda di quelle a cui ci siamo abituati? Noi sappiamo cosa sia la pace? Non la tranquillità, ma la pace!? La pace mentre guidiamo nel traffico delle nostre città, la pace fra i banchi, le scrivanie o i seggi, la pace da offrire a chi incontriamo (che non sia il parente di fianco nella panca in chiesa) e, infine, forse prima di tutto, la pace dentro di noi? Forse lo dobbiamo ancora scoprire cosa sia questa pace, ma intanto a costruirla quest’anno possiamo iniziare noi.
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