Le nuove Br volevano attaccare l’Eni

Un’autobomba tra le palazzine dell’Eni di San Donato Milanese, «perché tanto non ci abita nessuno, al massimo qualche custode»: ci sono anche questo proposito e questa intercettazione, di almeno sei anni fa, negli atti del processo alle “nuove Brigate Rosse“ , alias “Partito comunista politico-militare” che, dopo l’ondata di arresti del febbraio del 2007, si riaprirà nuovamente stamane a Milano, in grado d’appello, dopo che la corte di cassazione ha annullato con rinvio le condanne inflitte il 24 giugno 2010 a 12 imputati accusati di aver aderito al movimento che secondo la Digos aveva nel mirino, tra gli altri, anche il giuslavorista Pietro Ichino. Inizialmente erano state sottoposte a fermo 15 persone, tra le quali una donna, la padovana A.C., iscritta alla Cgil (e subito allontanata dopo il fermo), nel 2001 aveva vinto un concorso letterario a Melegnano.

Sotto l’Eni di San Donato si sarebbero invece appostati nel 2006 Claudio Latino e Bruno Ghilardi, condannati rispettivamente in primo grado a 14 e 10 anni. Nel mirino, secondo il pm Ilda Boccassini, si sarebbe stato anche un dirigente dell’Eni.

Ora però la Suprema corte chiede un nuovo processo d’appello ritenendo che la prima sentenza, che aveva confermato quella di primo grado, non avesse indicato con quali modalità le azioni progettate dagli imputati avrebbero dovuto essere eseguite. Per questo motivo è stato annullato anche il risarcimento di 100mila euro disposto a favore di Ichino.

Nessun commento, ora come allora, da Eni riguardo al processo. Le cronache ricordano che il “cane a sei zampe” era già comparso come obiettivo in indagini successive al 2001 sul terrorismo islamico e che appena nel gennaio scorso il Comune di San Donato ha dato il via libera a un rafforzamento della protezione per un rischio di matrice anarco-insurrezionalista.

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