SPECIALE Giovanni Paolo II a Lodi, il ricordo delle suore del Carmelo

Il testo integrale del contributo inviato delle sorelle del convento San Giuseppe

MEMORIA GRATA

Ricorreva, il 18 giugno 1992, il venticinquesimo anniversario di fondazione del nostro monastero. Prima ancora che avessimo modo di domandarci come far memoria del nostro giubileo d’argento, ecco che giunse come una folgore l’annuncio della visita del Papa a Lodi, e insieme la notizia che il S. Padre avrebbe fatto l’ingresso in Città a partire dal Carmelo. Più solenne e più significativo di così un giubileo non poteva essere!

Fu un evento di Chiesa che coinvolse tutto il territorio, dalla società civile alla comunità ecclesiale, e il Carmelo unitamente a tutti.

In quel giugno memorabile i limiti della clausura divennero oltrepassabili per molti, perché i preparativi della visita papale lo richiedevano: agenti di pubblica sicurezza, prelati e addetti del Vaticano al seguito papale, sacerdoti incaricati a vario titolo dalla Diocesi … Fu un andirivieni frequente e trepido di attesa e di premure. Tutto doveva essere vagliato, studiato, soppesato, abbellito, perché la visita di Giovanni Paolo II si svolgesse nella serenità e nell’ordine, pur nell’intensità del momento.

Più di sempre in quell’ora avvertimmo di essere nel cuore della Chiesa. Se il portale d’ingresso per l’arrivo del Papa era il Carmelo, era come dire che da lì, cioè dalla dimensione contemplativa della vita ecclesiale, avrebbe dovuto scaturire la fecondità di questo viaggio apostolico. Un segnale per tutti: si parte dalla preghiera!

E finalmente arrivò il grande giorno: 20 giugno 1992, sabato. Le condizioni meteorologiche facevano presagire l’impossibilità di quell’accoglienza festosa che tanto si desiderava. Nelle settimane precedenti la pioggia non ci aveva lasciato e anche la vigilia il cielo era cupo e gonfio di pioggia. Eppure il giorno 20 non piovve, anzi, un po’ di sole rischiarò l’orizzonte, e tutto poté svolgersi serenamente, come da programma.

La papa-mobile entrò trionfante dal cancello con i pochi del seguito papale. Ad accoglierlo in giardino c’era la corona delle monache con il cappellano del monastero e un superiore dell’Ordine. Con il Papa viaggiavano il Vescovo di Crema e il nostro Vescovo, Mons. Capuzzi. Non possiamo dimenticare l’amabilità del S. Padre: una parola per ciascuna, la benedizione con l’imposizione della mano e la croce sulla fronte. Poi tutti ci trasferimmo nel coro interno del monastero. Lì, davanti al tabernacolo, Giovanni Paolo II in ginocchio si sprofondò in prolungata preghiera. Avemmo la percezione della sua unione intima con Dio. Nessuno avrebbe osato richiamarlo all’orario … Il suo segretario finalmente lo sfiorò su una spalla, e allora, come riavendosi da un’esperienza “altra”, il S. Padre cominciò a girare lo sguardo sulle carmelitane, scrutandole ad una ad una, mentre la Madre Priora gli rivolgeva un caldo saluto a nome di tutta la comunità. Al termine tutte rinnovammo i voti monastici, pronunciando coralmente la formula della nostra professione religiosa.

E infine il Papa parlò. Lo fece a braccio, in tono semplice e familiare, richiamandoci alla radicalità evangelica dei nostri “Santi genitori” (li definì così), S. Teresa e S. Giovanni della Croce, e degli altri Santi Carmelitani, compreso quello della sua terra di origine, S. Raffaele Kalinowski. E ci chiese di pregare per lui e per la Santa Chiesa.

Ma il tempo stringeva. Il S. Padre era atteso fuori clausura. Al nostro canto “Christus vincit”, lasciò il coro e si avviò verso la sacrestia. Lì abbracciò con uno sguardo compiaciuto i doni che gli avevamo preparato o che erano stati offerti dagli altri monasteri della nostra Provincia carmelitana: paramenti e manufatti liturgici, ricamati e intessuti d’affetto per il Papa. Lungo il breve percorso verso la chiesa lo attendevano alcuni amici e benefattori e una folta schiera di Padri Carmelitani.

Allora notammo i segni del dolore nel volto e nell’andatura del S. Padre … e ne avemmo la spiegazione il lunedì seguente, quando la Sala-stampa Vaticana annunciava il ricovero di Giovanni Paolo II per un intervento importante già programmato. Nonostante la prostrazione fisica il Papa aveva rispettato fedelmente il ritmo e gli appuntamenti pressanti del suo viaggio apostolico.

Dalla sacrestia passò nella chiesa del monastero, dove ad attenderlo c’erano tutte le religiose della Diocesi, mentre noi stavamo alla grata che dà sul presbiterio. La chiesa era gremita: per l’occasione le panche e le sedie erano state rimosse per fare più spazio, perché allora le suore erano molte, un vero assembramento oggi impensabile (e per i timori del virus e perché il numero delle religiose è ormai notevolmente ridotto). E fu il momento della festa. Se con le carmelitane si trattò di un momento di intensa intimità, con le consacrate fu un’esplosione festosa. Il Papa tenne un breve discorso sottolineando gli ideali della consacrazione religiosa e non dimenticando il dramma della guerra in Iugoslavia, che in quei giorni seminava dolorosamente ingiustizia, violenza e morte.

Una breve preghiera, e poi di nuovo via, tra due ali di religiose festanti che si sbracciavano per salutarlo. La papa-mobile lo inghiottì di nuovo e il S. Padre continuò a salutare e a benedire con la mano, allontanandosi in mezzo alla folla che assiepava il percorso. Nel porticato esterno e sul piazzale c’erano anche parenti e conoscenti che furono felici di poterlo vedere da vicino.

Si era trattenuto al Carmelo poco più di mezz’ora. Proseguiva ora la sua visita alla Diocesi: ad aspettarlo in Cattedrale e sulla piazza antistante c’erano migliaia di persone.

Conserviamo grata memoria di quell’evento davvero “storico” per noi e per l’intera Chiesa locale. Incontrare il Papa è stata una grande emozione, ma sarebbe ancor poco il semplice ricordo emotivo. C’è una memoria spirituale che va ben oltre il sentire emozionale e che segna interiormente in maniera indelebile.

È la memoria di chi ha incontrato un Santo. Se ne abbiamo avuto allora l’intuizione e una forte percezione interiore, oggi il riconoscimento ufficiale della Chiesa ce ne dà la garanzia.

È pure la memoria che la preghiera “fa” la Chiesa e ne è una dimensione imprescindibile: non dimenticheremo mai Giovanni Paolo II immerso nella contemplazione, come non dimenticheremo che la sua visita apostolica prese le mosse dal Carmelo, luogo dell’orazione.

È anche la memoria dell’appello del Papa alle esigenze forti della nostra consacrazione, di cui certo eravamo convinte, ma nelle quali il S. Padre ci ha confermato.

È la memoria di un momento sofferto da parte di Giovanni Paolo II, sofferenza fisica e sofferenza morale: stava molto male fisicamente e soffriva anche del dolore degli altri, di chi pativa la tragedia della guerra. Ne siamo però certe: una sofferenza offerta, e offerta con amore.

È infine la memoria di una Chiesa nel giubilo, unita attorno a Pietro, confortata nella fede, spronata all’annuncio gioioso del Vangelo. E sappiamo tutti che questa memoria ci fa bene anche oggi, per spazzar via le nubi di sfiducia e di sconforto che talvolta oscurano il cammino della comunità cristiana.

Dopo trent’anni la memoria spirituale della visita papale è ancora viva.

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