Solidarietà, la nuova “frontiera”: «Accogliere a casa un rifugiato»

Iniziativa della Caritas rivolta a tutta la diocesi, a Casale si pensa a una “staffetta”

Accogliere a casa un rifugiato per sei mesi. Il progetto “Rifugiato a casa mia” viene lanciato da Caritas lodigiana con attenzioni specifiche e specifici paletti, tanto che ci sono già alcune famiglie che hanno dato la propria disponibilità Si tratta di una “seconda accoglienza”: le persone cioè che verrebbero ospitate hanno già compiuto un percorso di prima accoglienza con la Caritas lodigiana e hanno già vissuto nelle strutture comunitarie diocesane o nelle case messe a disposizione dalle parrocchie nella diocesi di Lodi, sempre coordinate da Caritas; hanno già avviato l’apprendimento della lingua italiana, la conoscenza del territorio, il primo inserimento.

Tra loro c’è chi ha avuto riconosciuto il diritto di asilo o la protezione sussidiaria o umanitaria o ancora la protezione internazionale come rifugiati. Ecco chi potrebbe essere accolto nelle famiglie lodigiane, in città e nei paesi a seconda della disponibilità delle famiglie stesse. Sono ««persone maggiorenni, uomini o donne o famiglie, già presenti sul nostro territorio e molto motivati a rimanervi», ribadiscono da Caritas lodigiana.

«A volte hanno già trovato un lavoro ma non un’abitazione - spiega la referente del progetto Beatrice Aletti -. Da tempo infatti verifichiamo che i due inserimenti più complessi sono quello lavorativo e abitativo».

La famiglia che dà la propria disponibilità ospita a titolo gratuito e si attiva per favorire un’integrazione sociale della persona. Caritas mette a disposizione la vicinanza di un operatore, un “kit di integrazione” e 500 euro per i sei mesi: «Si tratta di linee guida. Sia la famiglia che il giovane firmano una scheda progetto che fissa anche la durata. Famiglia, ospite e operatore Caritas insieme decidono come meglio investire il contributo, magari in corsi di formazione - afferma Aletti -. L’operatore è lo stesso che ha seguito la persona nell’accoglienza nelle strutture di Caritas e che ne ha una conoscenza consolidata. Poi non si invia in famiglia il primo che capita, si monitora il cammino e se qualcosa non va si interviene».

Già da ora ci sono le prime disponibilità. «Alcune famiglie dell’Azione cattolica di Casalpusterlengo si stanno organizzando “a staffetta”, ciascuna farà ospitalità per due mesi».

Il progetto “Rifugiato a casa mia” era stato lanciato da Caritas italiana dopo che nel 2015 Papa Francesco aveva chiesto ad ogni parrocchia di ospitare una famiglia. Caritas lodigiana si è ispirata all’esperienza già iniziata (con piccoli numeri) nelle diocesi di Milano e Bologna, altri progetti sono attivi a Roma, Padova e in Caritas più piccole. «Qualcuno ha scelto di attuarlo come prima accoglienza, noi abbiamo preferito come seconda accoglienza per non lasciare alle famiglie la parte burocratica dei primi tempi», dice Beatrice.

Per informazioni: Luca Servidati, 0371 948130, [email protected].

Raffaella Bianchi

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