«Ricostruiamo la cattedrale vegetale,
sarà finanziata con una raccolta fondi»

LA LODI DEL FUTURO L’intervista all’ex sindaco Andrea Cancellato

«Ricostruiamo la cattedrale vegetale, l’opera è stata un punto di riferimento per la città». Ne è convinto Andrea Cancellato, presidente di Federculture e già sindaco di Lodi dal 1980 al 1990. Sessantacinque anni a dicembre, l’ex direttore della Triennale di Milano indica l’opera di Giuliano Mauri tra i progetti da salvare per il futuro del capoluogo.

In città il “tempio naturale” di Mauri non è stato accolto da tutti con grande entusiasmo. Vale la pena investirci di nuovo?

«L’installazione può non essere piaciuta a tutti, ma sicuramente è piaciuta a molti. Ha avuto un grande successo a Lodi e anche fuori. È giusto che un’opera di arte contemporanea susciti dibattito, anche contrasti: è il suo compito quello di fare discutere. Già altre opere di Mauri non avevano incontrato il favore di tutti. Direi invece che la cattedrale vegetale era un modo per promuovere la nostra città anche fuori dai suoi confini».

Lei è uno dei principali promotori della sua ricostruzione. A che punto siamo?

«Anzitutto, dal punto di vista personale ho apprezzato molto la sua realizzazione, quindi mi è dispiaciuto che non abbia retto. Probabilmente c’è stato un concorso di responsabilità, ma il suo cedimento è un dato di fatto. L’interrogativo oggi è la possibilità di una sua ricostruzione, in modo coerente con il progetto di Mauri ed evitando il destino della precedente. Adesso siamo nella situazione di elaborare il progetto, per poi presentarlo all’amministrazione comunale. Che se lo riterrà convincente valuterà la concessione dell’area. Accanto ci vorrà inoltre un piano di gestione, perché un’opera così una volta fatta non è finita, perché deve essere sempre manutenuta e alimentata».

Sui fondi da reperire come vi muoverete?

«Si farà una campagna di crowdfunding, una raccolta fondi allargata per rimettere in piedi l’opera. È chiaro che il progetto tecnico deve tenere conto dei problemi che ha avuto la precedente realizzazione. Bisogna considerare il clima, il vento; anche la dimensione della costruzione può essere diversa, magari a tre navate. Sui tempi invece bisogna aspettare che passi questo momento difficile. Non possiamo infatti lanciare un progetto così solo online, dobbiamo metterci la faccia».

Proprio in questi giorni è stato presentato il 16esimo rapporto annuale Federculture, federazione di cui lei è presidente: come è possibile sostenere e rilanciare le imprese culturali e del turismo nel nostro Paese in questa fase d’emergenza sanitaria per il Covid?

«Il punto che come Federculture sottolineiamo è che non potrà esserci ripresa nel nostro Paese, dopo il disastro di quest’anno, se non vi sarà coesione nazionale e una forte unità d’intenti da parte della gente. Da questo punto di vista la cultura è uno degli elementi che può più di altri contribuire a dare forza ad uno spirito di coesione. Abbiamo chiesto al ministro Dario Franceschini un grande piano di investimenti per la cultura, dai piccoli borghi alle grandi città.

Oggi il Paese è fortemente colpito. Faccio un esempio: davanti a un amico, a un conoscente o a un congiunto che ha contratto il virus, la prima cosa che ci si domanda è se l’abbiamo incontrato recentemente. Non come sta. E questo è un riflesso condizionato, frutto di una dinamica difensiva che ha dentro le caratteristiche tipiche dell’economia di guerra. Io penso che dobbiamo cercare di uscire da tale logica. E per farlo occorre un grande spirito di comunità, che solo la cultura può dare».

Come giudica la vita culturale a Lodi oggi. Quali suggerimenti darebbe per rivitalizzarla?

«Rivitalizzare significa già dare un giudizio, che non mi pare corretto esprimere visto il ruolo che ho svolto da amministratore in passato. La relazioni che ho mi dicono che la città è vivace, l’attività culturale c’è. Poi bisogna distinguere tra attività di intrattenimento e attività culturale volta anche a suscitare la domanda, a creare curiosità».

Agli inizi degli anni ’80 lei è stato uno dei protagonisti del progetto di riunire in un’unica sede, in via Fissiraga, tutti i documenti della storia lodigiana. Cosa pensa ora del progetto di trasferire l’archivio storico all’ex Linificio?

«Dipende qual è l’obiettivo: se sistemare l’ex Linificio, oppure trovare una sede per un polo culturale aggregato che metta insieme archivi e altre proposte in ambito culturale. In generale, dico che l’ex Linificio è un hub culturale di grandissimo interesse e appartiene a una delle incompiute della città, se finalmente riesce a trovare un suo destino credo sia una buona cosa».

La cascina Callista di viale Pavia, gestita dalla cooperativa Ettore Archinti, da lei guidata, è da anni un polo di aggregazione e cultura nel quartiere di San Fereolo. Quale sarà il suo futuro?

«In un anno così già andare avanti è un mezzo miracolo! Battute a parte, è chiaro che il nostro destino è un’integrazione sempre maggiore con il quartiere. Nei giorni scorsi ad esempio un’associazione impegnata nel volontariato per il doposcuola dei bambini di elementari e medie, da tempo senza sede per via dei lavori nel sottopasso in viale Europa, ci ha chiesto casa. E noi gliela daremo. Questa è una tipica situazione volta ad aggregare e risolvere un bisogno. Abbiamo poi il museo Ettore Archinti, realizzato con la collaborazione dell’amministrazione comunale, che è un patrimonio dell’intera città».

San Fereolo, oltre ad essere il quartiere più popoloso del capoluogo, è anche laboratorio di convivenza di diverse culture. Si fa abbastanza a Lodi per l’integrazione e l’inclusione sociale?

«Lodi è ricca di associazioni e volontariato impegnati nell’integrazione. Persino quando ci fu la grande polemica con l’amministrazione comunale per le scelte sbagliate sulla mensa e il rapporto con i bambini extracomunitari la risposta della rete di solidarietà ha dimostrato che nel suo complesso la città è ospitale e capace di integrazione. Sono convinto che Lodi sia una città inclusiva».

Lei è stato sindaco di Lodi dal 1980 al 1990: come vede oggi lo sviluppo del capoluogo?

«Ritengo che Lodi abbia un destino legato in maniera indissolubile con Milano, nel bene e nel male. A mio parere questo rapporto va coltivato e sviluppato. Ad esempio il trasferimento da Milano dell’università di veterinaria è una grandissima opportunità per noi».

Università di veterinaria e Parco tecnologico non appaiono però ben integrati nel tessuto cittadino: è una questione di collegamenti o serve un cambio di mentalità?

«Un conto è avere l’università nel cuore della città, altro discorso se è fuori dal perimetro urbano e oltre la tangenziale. In passato forse si è stati un po’ pigri nel decidere dove collocare l’università, un pensiero più approfondito probabilmente poteva essere fatto in quel momento. Un’università più vicina al centro urbano avrebbe consentito e consentirebbe una maggiore integrazione tra il tessuto urbano e gli studenti, gli insegnati, i consulenti e i servizi che gravitano attorno all’ateneo. Detto ciò, lo sforzo da fare ora è quello di integrare l’università sempre di più con la città. La struttura progettata da Kengo Kuma è bellissima, non possiamo che esserne orgogliosi».

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