LODI Nell’aerea blu del Maggiore di Lodi: «Per noi non è mai finita» VIDEO

Il nostro viaggio seguendo il lavoro di medici e infermieri del reparto di cure subintensive

Sedici letti occupati, pazienti in ventilazione meccanica, non invasiva, con il casco cpap, l’ossigenazione ad alti flussi. «Siamo tornati come prima», sospira Sabrina Iacchetti, coordinatrice infermieristica della sub intensiva, denominata area blu, all’ospedale di Lodi. L’unica differenza rispetto a marzo è che c’è meno pressione, meno velocità nell’arrivo dei malati, meno “onda”, insomma, conferma il coordinatore Mariano Scozzafava che fa parte dell’equipe della pneumologia guidata dal primario Giuseppe Cipolla. E che, con il resto degli operatori, si sono rimessi in gioco, riaprendo l’area per la seconda volta. Loro sono l’ultima frontiera per i pazienti, prima di arrivare in terapia intensiva.

«Rispetto a marzo - spiegano i due dottori - ci sono molti pazienti in arrivo dalle stesse famiglie e soprattutto più giovani di prima. Questo è un vantaggio perché essendo più giovani resistono meglio alla malattia. A marzo, in area blu, si contavano 2 decessi al giorno. Adesso i decessi sono stati 2 da quando è stata aperta l’area, 10 giorni fa, e 20 i malati dimessi in reparti a più bassa intensità di cura. «L’assistenza è più fluida perché siamo preparati e più competenti rispetto a marzo - raccontano - allora siamo stati presi di sorpresa, anche se i pazienti sono di alta complessità». Gli infermieri sono 18 e 4 oss. Provengono dalla cardio-pneumo e da altri reparti. I pneumologi sono 7, a cui si aggiungono un nefrologo, un cardiologo e un neurologo. Il fisioterapista in questo momento ha appena finito il suo lavoro. «La mobilizzazione precoce riduce le complicanze dell’allettamento - spiega il responsabile -. Ma soprattutto il fisioterapista è l’esperto di pronazione».

Il paziente viene messo a pancia in giù sul letto. La manovra favorisce l’ossigenazione del sangue, il polmone si espande meglio e il paziente migliora. «Una cosa innovativa qua in area blu - spiega Scozzafava - riguarda proprio i fisioterapisti: stanno iniziando a usare l’ecografia polmonare per vedere se il loro lavoro sta funzionando. Siamo tra i pochi in Italia a farlo, insieme al gruppo di Enrico Storti e di Stefano Paglia. Siamo i 3 reparti che credono tanto a questo tipo di lavoro». Scozzafava mostra il ventilatore. Per il coordinatore, il ventilatore è «il bastone del paziente». Lo aiuta a respirare meglio e dà alla terapia il tempo di funzionare. La pressione positiva, insieme all’ossigeno, dilata gli alveoli e li fa respirare meglio. «Il ventilatore - dice il medico - serve anche come muscolo accessorio della respirazione nel paziente affaticato. Le terapie consentono l’entrata dell’aria buona nel sangue e l’uscita dell’aria cattiva dal sangue verso l’esterno». In un angolo ci sono le macchine per la dialisi. La nefrologa Chiara Ronga oggi è venuta ad assistere la sua paziente con una insufficienza renale grave complicata dal covid. Alcuni infermieri stanno guardando i monitor, controllano l’attività cardiaca, la saturazione d’ossigeno e la pressione. Hanno sottomano tutta la situazione del paziente nelle 24 ore.

«Siamo in meno e più stanchi - dice la coordinatrice -. Gli infermieri non si trovano, nonostante i concorsi. Siamo tutti con l’acqua alla gola. Non ci eravamo ancora ripresi per niente, perché per noi non è mai finita. Quando è finita la prima ondata, si è avviata la ricostruzione per riprendere tutta l’altra attività sanitaria. Tornare di qui, ha voluto dire riorganizzare tutto, come quando si fa un trasloco in casa».«Vediamo i pazienti più precocemente rispetto a marzo. Quindi i risultati sono migliori - conclude Scozzafava -, i pazienti che vanno male sono quelli con più patologie pregresse. Gli altri hanno più chance di successo».

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