Omicidio di San Giuliano, confermata la condanna a 15 anni

Il badante 38enne strangolò il pensionato di 71 anni nel 2017

La Cassazione ha confermato la condanna a 15 anni di reclusione inflitta dalla corte d’appello di Milano a Juan Carlos Dominguez, il salvadoregno oggi 38enne che il 25 novembre del 2017 aveva strozzato con le mani, secondo quanto da lui stesso confessato e poi confermato ora con sentenza definitiva, il 71enne di San Giuliano Milanese Domenico Izzo, pensionato dell’Eni.

La vittima, appassionato di viaggi e single, da qualche tempo sentiva la necessità di avere di un badante che lo aiutasse nelle faccende domestiche e si era messo a cercarlo chattando su Internet. Il salvadoregno, un passato da meccanico d’auto e in difficoltà economiche, aveva accettato l’offerta e, preso l’aereo, era arrivato a San Giuliano. Stipendio, lavoro e una camera per dormire, questo era l’accordo.

Ma, per quanto emerso dalle indagini dei carabinieri di San Donato e della Procura di Lodi, il rapporto di lavoro era durato pochi giorni. I due discutevano sempre più spesso, e, poche ore prima di morire, Izzo aveva convocato telefonicamente un giovane italiano a casa sua, per un colloquio di lavoro affinché prendesse il posto del salvadoregno. Ed era stato proprio l’italiano a trovare la porta aperta e il cadavere del pensionato sul letto, e a chiamare i carabinieri. Cosa sia successo in quelle ore lo hanno raccontato solamente i rilievi delle Investigazioni scientifiche, l’autopsia del dottor Marco Ballardini e infine anche la confessione del presunto omicida.

Dominguez aveva raccontato di essere stato preso a schiaffi da Izzo che lo voleva sbattere fuori casa, senza pagarlo. A quel punto il badante avrebbe perso il controllo, stringendo le mani attorno al collo dell’anziano. Né magro né debilitato, secondo la difesa, che sia in appello sia in Cassazione ha tentato di giocare la carta dell’omicidio preterintenzionale, cioè non voluto. Dominguez ha ripetuto ai magistrati che era convinto di aver solo tramortito l’anziano, e di avergli quindi portato via il telefono cellulare per usarlo come pegno per farsi pagare quanto riteneva gli fosse dovuto per il lavoro svolto. La Cassazione però ha confermato la tesi dell’omicidio volontario, che era già stata fatta propria nel primo verdetto, per rito abbreviato il 9 gennaio 2019.

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