Muore a 13 anni dopo 10 giorni in coma

Dieci giorni di coma, poi la tragedia. Si è spenta martedì sera la piccola Sara Haddar, 13enne di Lodi ricoverata in rianimazione dal 16 febbraio. Costretta sulla sedia a rotelle dalla distrofia muscolare, frequentava la terza media alla Spezzaferri. Il suo sogno era viaggiare e imparare le lingue, così si era iscritta all’Einaudi, settore Turismo.

Sabato scorso, mentre cenava (la sua famiglia abita in via Calipari, in zona Fanfani), le è andato un boccone “di traverso” e non è più riuscita a respirare. È stata subito intubata, ma da quel momento non si è più ripresa, anche se il padre chiedeva a chi andava a trovarla di parlare con lei per farle sentire la sua presenza. A volte sembrava che sotto le palpebre, chiuse con dei cerotti, muovesse gli occhi. Ma ogni speranza si è spenta martedì, dopo una nuova crisi respiratoria, quando il suo cuore ha smesso di battere.

La tragedia ha gettato la sua famiglia nella disperazione. Il padre Said, marocchino, e la madre Giovanna Rosi, ieri sono rimasti tutto il giorno in camera mortuaria a vegliare. Lo sguardo perso nel vuoto, increduli davanti a quel corpicino senza vita. La ragazza lascia anche due fratelli, Jacopo di 20 anni e Omar, più piccolo di lei. Oggi, alle 10.30, la salma verrà portata dalla camera mortuaria al cimitero di San Bernardo, dove ad attenderla ci saranno i suoi compagni di classe, le insegnanti e tutti i 120 studenti della Spezzaferri.

«Conoscevo bene Sara, per tre anni è stata a scuola con noi - ricorda la coordinatrice del plesso Laura Cavalleri -. Era molto dolce, volenterosa, nonostante i suoi limiti era sempre pronta a buttarsi dentro ogni iniziativa, anche in palestra, non si tirava mai indietro, giocava a basket, faceva gli esercizi. In un tema aveva scritto che il suo sogno era di poter fare di nuovo una corsa».

Ieri in tutte le classi dello Spezzaferri (anche il fratello frequenta la scuola) si è parlato di lei. Molti la conoscevano bene, erano stati con lei fin dalla materna: da bambina Sara camminava con le sue gambe, correva e giocava; poi, piano piano, ha cominciato a camminare come una “ballerina”, sulle punte (come ha detto un compagno), mentre dalla terza elementare la malattia è peggiorata e l’ha costretta sulla sedia a rotelle. Nonostante la fatica del corpo, però, con la testa è sempre stata lucida, consapevole di quello che le stava succedendo. «Questo è l’aspetto più triste - aggiunge la professoressa Cavalleri -, ma ha sempre avuto una grande forza di volontà e voglia di fare, di progettare, non si lasciava scoraggiare. Nonostante l’insegnante di sostegno spesso voleva stare in classe e fare da sola, non ha mai mosso a pietà nessuno, non ha mai cercato sconti». Oggi ad accoglierla al cimitero, per l’ultimo saluto, ci saranno tutti i suoi amici e compagni.

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