«Mizar, per Fiorani sanzione massima»

È scontro fra l’Agenzia delle entrate e i difensori dell’ex banchiere

«Yol Trading non vuol dire Fiorani. Non è mai stata provata l’esistenza di uno schermo societario». È questo uno dei passaggi più significativi della difesa di Gianpiero Fiorani nella vertenza che lo vede contrapposto all’Agenzia delle entrate di Lodi. Al centro del “braccio di ferro” una plusvalenza di 13,5 milioni di euro, frutto dell’operazione immobiliare Mizar, su cui il fisco chiede all’ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi di pagare tasse, imposte e sanzioni, queste ultime nella misura massima possibile perché, per dirla con le parole del funzionario dell’Agenzia delle entrate, «riteniamo che il comportamento di Fiorani lo meriti».

Giovedì mattina davanti alla Commissione tributaria provinciale è andato in scena il “secondo round” di questo scontro fra titani. I lavori sono stati dedicati ad analizzare la mancata compilazione nella dichiarazione dei redditi di Fiorani del quadro Rw, nel quale vanno indicati i fondi detenuti all’estero. Ma inevitabilmente il confronto (a tratti molto acceso) fra l’Agenzia delle entrate e la difesa dell’ex banchiere ha riguardato l’intera operazione Mizar. Operazione che, è bene ricordarlo, parte da un pacchetto di 54 immobili di proprietà delle Casse del Tirreno, finiti nella disponibilità della vecchia Banca Popolare di Lodi (che aveva acquisito l’istituto di credito). Nel 2002 viene costituita la Mizar, società che controlla gli immobili ex Casse del Tirreno. Mizar a sua volta è controllata dalla Basileus, che a sua volta è detenuta dalla Bipielle Real Estate, la “cassaforte immobiliare” del gruppo Banca Popolare di Lodi. Le quote di Mizar (e gli immobili) a un certo punto passano di mano, vendute a una società estera, la Yol Trading. Società di cui, secondo la ricostruzione dell’Agenzia delle entrate, Fiorani sarebbe stato socio occulto. L’ultimo passaggio è la vendita degli immobili alla Cre.Sen per un ammontare di 64,5 milioni di euro. Parte di questi soldi però - sostiene il fisco - sono stati girati “in nero” estero su estero alla Yol Trading: si tratta per l’appunto di 13,5 milioni di euro, che sarebbero finiti a Fiorani.

Una tesi che è stata contestata dalla difesa dell’ex banchiere, che ha presentato certificazioni del Banco di Lugano (sottoscritte da Francesco Ghioldi, già coinvolto nell’inchiesta Antonveneta) per dimostrare che dietro la Yol non c’era Fiorani. «L’ipotetica plusvalenza non è riferibile a Fiorani», hanno aggiunto giovedì davanti alla Commissione tributaria i difensori dell’ex ad. Di parere opposto l’Agenzia delle entrate, che sempre giovedì ha spiegato come «il fatto contestato è provato dalla sentenza di patteggiamento di Fiorani (nell’ambito del processo Antonveneta, ndr)». Il rappresentante del fisco lodigiano ha aggiunto che «sono state recuperate a tassazione solo le somme accertate». A dimostrazione della complessità del caso, nella memoria dell’Agenzia delle entrate sono state allegate diverse pagine nelle quali vengono indicati tutti i conti correnti che - sempre secondo il fisco lodigiano - Fiorani avrebbe utilizzato per muovere denaro all’estero.

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