LA STORIA Dalla trincea del Covid alla scrivania, la scelta della storica infermiera: «Non c’era più fiducia in me»

Per 20 anni al 118 poi caposala in area blu, Sabrina Iachetti ora ha 55 anni e cambia vita

Per vent’anni infermiera dell’emergenza urgenza. Su e giù per il Lodigiano a salvare vite umane con la storica squadra del 118. Poi in trincea per 3 anni, a lottare contro il Covid, in area sub intensiva e a curare i pazienti che per complessità sono inferiori solo alla rianimazione. La storica caposala dell’ospedale di Lodi Sabrina Iachetti, classe 1966, residente alla Muzza di Cornegliano, si è licenziata ed è andata a lavorare in fabbrica con i fratelli. Ora si occupa di amministrazione.

Una scelta che ha lasciato sbalorditi i colleghi che non possono più lavorare con una «brava infermiera». Iachetti, dopo il diploma ha seguito un master universitario di coordinamento delle professioni sanitarie al San Raffaele, è referente regionale Irc (Italian resuscitation council) Lombardia, è stata referente dipartimentale di formazione in area critica, responsabile Cdf Irc Lodi e docente di area critica del corso di laurea infermieristica. Iachetti ha seguito anche 7 studenti per la tesi. «Negli ultimi due anni - dice la 55enne - sono stata coordinatrice facente funzioni». Prima che scoppiasse la pandemia Iachetti stava per prendere servizio in riabilitazione specialistica. «Mi hanno chiamata - dice - e il 25 febbraio sono andata ad aprire la sub intensiva Covid. Ho lavorato fino a Pasqua, senza mai un giorno di riposo. Abbiamo chiuso la sub intensiva Covid a maggio e l’abbiamo riaperta in ottobre. Nel frattempo sono stata inviata nel reparto di cardiopneumo e unità coronarica, con 38 letti, 2 primari e 40 persone da gestire. Poi è arrivata la seconda ondata, da ottobre a febbraio 2021, che per certi versi è stata peggio della prima perché prima le altre attività erano state chiuse: abbiamo riaperto l’area blu, ma dovevamo lavorare anche per recuperare le liste d’attesa. Così le persone in area Covid erano di meno. In area filtro non c’era più un addetto che controllasse le procedure di vestizione e io non ce la facevo a presidiare anche quello». Gli infermieri non hanno mai avuto pace. «Io ho “tirato” fin che ho potuto - dice -. Sono 36 anni che lavoro. Ero stanca di due anni di Covid e sentivo che non c’era fiducia in me. Mi sono vista i miei 36 anni buttati via». Iachetti non condivide il modello di sanità attuale. «Avevamo impostato un modello basato sull’autonomia dell’infermiere e sulla centralità del paziente. Ognuno di noi seguiva un malato, se lo coccolava, lo seguiva nella terapia, nel passaggio alla riabilitazione. Il paziente guariva meglio e l’infermiere era più contento - dice-. Adesso siamo ritornati all’infermiere che lavora per compiti, quello che fa l’ecg, quello che prende i parametri, eccetera. Secondo me siamo tornati indietro di anni. Durante la pandemia ho dovuto chiamare il sacerdote per consentire ai pazienti di parlare con qualcuno». Iachetti in questo periodo non si è sentita «ascoltata. Non sentivo più questa come la mia azienda - dice -. Ho lavorato in estate per non mettere i colleghi in difficoltà sperando a settembre di trovare una collocazione giusta per me, ma non si è riusciti a raggiungere l’accordo e mi sono licenziata. Avevo il piano B che è l’azienda di fotovoltaico dei miei fratelli, a Cavenago. A me poi i cambiamenti non spaventano e così mi sono rimessa in gioco. Se la professione mi mancherà, so cosa fare. Emergency mi ha già chiesto di collaborare e l’idea mi piace».n

© RIPRODUZIONE RISERVATA