Il voto alle comunali a Lodi e la sfida dell’astensionismo - Ascolta il podcast

Nell’arco di “soli” 24 anni siamo passati dall’87,88 per cento del primo turno delle Comunali del 1993 al 60,18 per cento del primo turno delle Comunali del 2017: il 27,7 per cento in meno

Dati alla mano e osservando come si sta sviluppando la campagna elettorale di Lodi, possiamo confermare che chi, tra Casanova e Furegato, riuscirà a presidiare meglio l’elettorato moderato avrà più serie possibilità di vittoria. Esiste tuttavia un altro elemento da non sottovalutare ed è il fattore astensionismo.

Proviamo ad analizzare il quadro, dicendo fin da subito che negli ultimi trent’anni la capacità di mobilitazione dell’elettorato da parte dei candidati, dei partiti e delle liste civiche si è fortemente contratta.

Nel 1993, primo anno in cui si votava per l’elezione diretta del sindaco, il leghista Alberto Segalini aveva battuto il democristiano Valerio Manfrini.

Al primo turno aveva votato l’87,88 per cento degli aventi diritto, scesi poi al 77,32 per cento al ballottaggio. Eravamo in pieno periodo di Mani Pulite, la Lega al Nord cresceva vertiginosamente e conquistava Milano con Marco Formentini e i partiti tradizionali, Dc in testa, attraversavano una profonda fase di crisi d’identità.

Nel 1996 Aurelio Ferrari (centrosinistra) sconfisse Italo Minojetti (centrodestra): al primo turno l’affluenza si attestò al 76,82 per cento, per scendere poi al 61,45 per cento al ballottaggio.

Nel 2000 Aurelio Ferrari venne riconfermato, battendo il candidato del centrodestra Ernesto Capra: al primo turno votò il 77,43 per cento degli aventi diritto, al ballottaggio il 57,82 per cento.

Passiamo al 2005, anno in cui diventa sindaco Lorenzo Guerini, già primo presidente della Provincia di Lodi: il candidato del centrosinistra sconfigge Mauro Rossi (centrodestra); Guerini vince già al primo turno con il 54,09 per cento, l’affluenza si attesta al 77,99 per cento.

Nel 2010 Guerini viene riconfermato primo cittadino, ancora una volta senza bisogno di andare al ballottaggio, con il 53,67 per cento, battendo il candidato del centrodestra Sergio Tadi. L’affluenza è del 75,10 per cento.

Dopo le dimissioni di Guerini, nel frattempo eletto alla Camera, e la fase del commissariamento, si vota nel 2013. Simone Uggetti (centrosinistra) batte Giuliana Cominetti (centrodestra): al primo turno l’affluenza è del 63,64 per cento, al ballottaggio scende di dieci punti, fermandosi al 53,09 per cento (molto vicino alla soglia psicologica del 50 per cento) e per la prima volta si può dire che un elettore su due è rimasto a casa.

Numeri ulteriormente in calo quattro anni dopo, nel 2017. Nel mezzo l’inchiesta giudiziaria sul “caso piscine”, l’arresto del sindaco e la fase dura e snervante del commissariamento. Tutti elementi che possono aver ulteriormente allontanato parte dell’elettorato. A distanza di 24 anni Lodi torna ad avere un sindaco leghista: Sara Casanova sconfigge il candidato del centrosinistra Carlo Gendarini; al primo turno l’affluenza si attesta al 60,18 per cento per fermarsi poi al 51,35 per cento al ballottaggio.

L’analisi di questi ultimi anni di vita amministrativa lodigiana induce due riflessioni. La prima è che con il sistema dell’elezione diretta dei sindaci l’unico ad aver vinto per ben due volte senza dover ricorrere al ballottaggio è stato Lorenzo Guerini, segno evidente della capacità di intercettare voti in un campo largo (pescando anche nel centrodestra moderato che alle politiche votava partiti come Forza Italia e Udc e alle Regionali Formigoni), tessere rapporti, porsi come il “sindaco di tutti” molto più abilmente ed efficacemente degli altri. Casanova e Furegato ne tengano conto.

La seconda considerazione riguarda il preoccupante crollo dell’affluenza. Nell’arco di “soli” 24 anni siamo passati dall’87,88 per cento del primo turno delle Comunali del 1993 al 60,18 per cento del primo turno delle Comunali del 2017: il 27,7 per cento in meno. L’astensionismo elevato è un fattore che a livello nazionale caratterizza da sempre elezioni poco sentite (pensiamo alle Europee) ma che negli ultimi anni sta negativamente penalizzando anche le amministrative, solitamente più affollate perché anche i più disattenti percepiscono forte il “richiamo” a eleggere il sindaco della loro città.

La coda della pandemia potrebbe determinare il prossimo giugno un’ulteriore riduzione dell’affluenza alle urne: compito dei due principali candidati, quelli con più mezzi (Casanova e Furegato), mobilitare quella parte di elettorato estranea alle loro aree di influenza. Facile (relativamente) prendere i voti di chi si avvicina ai gazebo per affinità politica, difficile - ma alla fine potrebbe rivelarsi determinante - conquistare il consenso di quanti sono lontani dalla politica, talvolta addirittura ne provano fastidio e scelgono solo all’ultimo se recarsi ai seggi o andare al mare.

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