IL PUNTO Le ragioni del voto di Lodi e l’allarme astensionismo

L’editoriale del direttore de «il Cittadino» Lorenzo Rinaldi

L’esito delle elezioni amministrative di Lodi, prevedibile nel verdetto ma inatteso per le dimensioni, impone due riflessioni. La prima sul comportamento di voto dei lodigiani. La seconda, partendo dal dato della scarsa affluenza, lancia un’ombra preoccupante sulle prossime tornate elettorali nel Lodigiano e nel Sudmilano.

1) Partiamo dai dati di Lodi città. Il candidato sindaco del centrosinistra Andrea Furegato ha ottenuto 11.247 voti (59,05 per cento), migliorando di ben 5.056 consensi il risultato registrato nel 2017 da Carlo Gendarini, che al primo turno si fermò a 6.191 (30,63 per cento).

La candidata sindaca del centrodestra Sara Casanova ha conquistato 7.085 voti (37,20 per cento), in crescita rispetto ai 5.523 del primo turno del 2017 ma in flessione rispetto ai 9.859 voti del ballottaggio, quando nella coalizione confluì anche Lorenzo Maggi per effetto dell’apparentamento. I dati da confrontare sono dunque i 7.085 voti del 2022 e i 9.859 del ballottaggio 2017, perché in entrambi i casi agli elettori si presentava l’alleanza Casanova-Maggi: rispetto a cinque anni fa la coalizione ha perso 2.774 voti. Il dato che più di tutti spiega la netta vittoria di Furegato è la crescita di 5.056 voti della coalizione di centrosinistra rispetto a cinque anni fa. E, all’interno di questo schieramento si segnala il robusto risultato della forza trainante della coalizione, il Partito democratico. Non è semplice individuare chiaramente da dove arriva questo patrimonio di 5.056 voti. È ipotizzabile pensare che un candidato sindaco di 25 anni abbia saputo mobilitare l’elettorato giovane. Inoltre rispetto a cinque anni fa, quando l’elettorato di centrosinistra usciva frustrato dall’arresto del sindaco, nella tornata del 2022 il clima che si respirava era totalmente differente, tale da indurre qualche elettore deluso del centrosinistra a tornare alle urne. E ancora, nei 5.056 voti ci sono i consensi di una parte dell’elettorato moderato che non si riconosce (o non si riconosce più) nell’azione amministrativa della sindaca uscente di centrodestra. Il neosindaco Furegato dovrà ora essere in grado, pur nelle asperità dell’attività quotidiana, di conservare questo patrimonio di voti.

Passiamo al centrodestra. Qui il crollo della coalizione di governo è stato chiarissimo e, come detto in apertura, inaspettato dal punto di vista delle dimensioni. Dove sono finiti i 2.774 voti che mancano all’appello nel 2022 rispetto al 2017? Cinque anni fa la candidata Casanova, espressione leghista, aveva beneficiato del traino nazionale, con la Lega di Salvini in forte ascesa. Così come aveva influito sul voto locale il “caso piscine”, che se da un lato ha danneggiato il centrosinistra dall’altro ha spianato la strada al centrodestra.

Il 2017 può essere inteso come un momento di rottura per Lodi, così come lo era stato il 1993 (con la crisi del partiti tradizionali): anche 29 anni fa a Lodi vinse un candidato leghista, Alberto Segalini. Nel 2022 l’elemento di rottura è venuto meno.

Sul risultato deludente della sindaca uscente potrebbe aver influito anche l’astensionismo, tradizionalmente maggiormente accentuato nel centrodestra e alimentato da liste meno competitive rispetto a quelle di Furegato. La differenza di competitività emerge plasticamente dal numero di preferenze ottenute dai singoli candidati consiglieri (la matematica non è un’opinione): è evidente che la capacità di mobilitare l’elettorato di centrodestra è stata assai meno efficace rispetto al centrosinistra. La debacle delle liste e delle singole candidature dovrebbe far riflettere i vertici dei partiti della ex maggioranza.

2) Fin qui l’analisi, certamente non esaustiva, del voto di Lodi. Dalle amministrative del capoluogo emerge però anche un altro elemento, fondamentale per allargare il nostro ragionamento su base provinciale, l’astensionismo: lo scorso 12 giugno hanno votato solo 19.643 lodigiani sui 34.815 aventi diritto (56,42 per cento); significa che in 15.172 sono rimasti a casa o sono andati al mare. Dall’elezione diretta del sindaco in poi, cioè dal 1993, il dato dell’affluenza alle urne del 2022 è il più basso e conferma un trend discendente che, anno dopo anno, ha eroso l’affluenza. Il forte astensionismo di Lodi fa il paio con quanto registrato alle amministrative di Melegnano (affluenza ferma al 53,27 per cento) e San Donato Milanese (primo turno 50,28 e ballottaggio 38,55 per cento). E pochi mesi prima, nell’ottobre 2021, anche Sant’Angelo Lodigiano aveva registrato una scarsissima affluenza (52,39 per cento) e in quel caso, dato ancora più allarmante, due soli candidati sindaci per una città di 13mila abitanti.

Il crollo dell’elettorato attivo rischia di avere effetti drammatici anche sull’elettorato passivo: il calo dei votanti potrebbe riverberarsi nella flessione della partecipazione, con la conseguente difficoltà nel trovare cittadini disponibili a candidarsi per ricoprire incarichi di sindaco, assessore e consigliere. Non è questo il momento per ragionare sulla crisi della partecipazione, ci limiteremo a dire che anche in ambito associazionistico si registrano simili problemi, tanto nel Lodigiano quanto nel Sudmilano.

È tuttavia doveroso guardare al futuro e in particolare alla tornata amministrativa del 2024, che porterà al voto una cinquantina di comuni lodigiani, tra cui Casalpusterlengo, e una manciata di centri sudmilanesi. Molti dei paesi che andranno al rinnovo del sindaco e del consiglio comunale sono di piccole dimensioni e il rischio concreto è che si fatichi a trovare anche un solo candidato sindaco. È già successo nel Pavese e nella Bergamasca, laddove i prefetti sono stati costretti a commissariare i paesi ancora prima del voto, potrebbe accadere anche da noi. Per evitare ciò, per scongiurare la morte democratica delle nostre comunità, tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati fin da ora a lavorare per alimentare la partecipazione. «il Cittadino» è al loro fianco in questa complessa battaglia.

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