Frecciarossa deragliato: «Non è certo che avessi avvitato io quei fili»

L’operaio Alstom imputato per l’errore di montaggio di un attuatore si difende in aula

Anche oggi in tribunale a Lodi davanti al giudice dell’udienza preliminare sono proseguiti gli interrogatori richiesti da quasi tutti gli imputati per difendersi dalle accuse di disastro ferroviario, duplice omicidio e lesioni gravi plurime, colposi, a seguito dell’inchiesta sul deragliamento del treno Frecciarossa Milano - Salerno alle 5.30 del mattino del 6 febbraio 2020 su uno scambio del Posto Movimento Livraga, deviatoio appena sottoposto alla sostituzione dei precedenti attuatori ormai vecchi di dieci anni. Il pm Domenico Chiaro ha interrogato l’operaio trentenne che un anno e mezzo prima aveva firmato la scheda di assemblaggio dell’attuatore (poi rivelatosi difettoso per due fili invertiti) che, montato sullo scambio, innescò lo svio del treno a 298 chilometri orari. Il lavoratore ha spiegato che non era una persona sola a realizzare l’intero componente, che veniva poi identificato con un numero di matricola solo una volta ultimato, e che l’errore di cablaggio quindi potrebbero averlo fatto altri operai al lavoro in quei giorni in Alstom Ferroviaria a Firenze, e non lui, come invece sostengono alcuni colleghi. Si sono difesi anche il collaudatore che in Alstom aveva testato sul banco prova quel componente dando l’ok alla vendita ai gestori ferroviari e quindi l’ex Ad di Rfi Maurizio Gentile, ora in pensione, che ha ribadito che la responsabilità sulle singole procedure era ampiamente e pienamente delegata a funzionari e dirigenti. Sta di fatto che poco dopo il disastro, costato la vita ai due macchinisti Mario Dicuonzo e Mario Cicciù, Alstom automatizzò completamente il “banco prova” degli attuatori e Rfi aggiornò le linee guida delle “prove di concordanza” degli scambi.

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