«Fine vita, la legge c’è già»

I medici Taveggia e Ucci all’incontro promosso dai Lions

Fine vita, la legge attualmente in discussione al Senato non aggiunge nulla alla normativa attuale. A dirlo, nell’incontro promosso, nei giorni scorsi all’Isola Caprera di Lodi, dai Lions Lodi Quadrifoglio, Lodi Host e Lodi Torrione coordinati dai presidenti Mariuccia Svanini Meroni, Annamaria Locatelli e Renzo Tansini, sono stati i medici Diego Taveggia, direttore dell’unità di cure palliative e hospice dell’Asst di Lodi, e Giovanni Ucci, direttore dell’unità operativa di oncologia dell’Asst. “Principi di bioetica e basi di biodiritto” è il titolo che è stato dato all’incontro. I due medici hanno spiegato la normativa in corso.

«Abbiamo parlato delle norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento - spiega il dottor Taveggia -, la legge 219 del 2017. Ne ho parlato dal punto di vista dei principi della bioetica moderna e, in particolare, del principio dell’autonomia e autodeterminazione. Gli strumenti che abbiamo oggi nella clinica per far valere l’autodeterminazione sono il consenso informato (che preferisco chiamare “informazione e consenso” per dare lo stesso peso ai due elementi, perché una viene prima dell’altro, quindi per dare il giusto ordine alla questione e poi perché l’informazione è carente nella pratica medica) e le disposizioni anticipate di trattamento, erroneamente conosciute come testamento biologico. Io dico erroneamente perché il testamento si apre nel post mortem (mentre le disposizioni anticipate di trattamento si firmano da vivi, io per esempio ho già rifatto quattro volte le mie ) e poi perché non parliamo solo di biologia: il mio approccio è olistico, io parlo di scelte biografiche non biologiche».

A questi due strumenti, spiega Taveggia, «si aggiunge la pianificazione anticipata e condivisa delle cure, che è il terzo strumento per affermare l’autodeterminazione. Mentre le disposizioni anticipate di trattamento si compilano da sani, la pianificazione anticipata e condivisa delle cure si compila quando è già presente una diagnosi. È uno strumento poco conosciuto, ma riguarda l’86 per cento delle persone. Solo il 14 per cento della popolazione, infatti, muore all’improvviso. Se la traiettoria della malattia è prevedibile ognuno può disporre i suoi desideri a riguardo, come se essere seguito a casa o in ospedale, per esempio, oppure a quali tipi di trattamento si voglia o no essere sottoposti, per esempio, essere intubati, ma non finire in rianimazione».

La normativa sul fine vita attualmente in discussione al Senato, hanno precisato i due medici, «non aggiunge nulla alla normativa attuale. La discussione - annota Taveggia - è polarizzata. Noto prese di posizione, da una parte e dall’altra, senza un substrato bioetico per discuterne. È vissuta con un clima da stadio, ma non aggiunge davvero niente alla normativa già in vigore». Secondo la normativa attuale, «il medico -dice il dottore - ha il dovere di sospendere un trattamento, anche salvavita, se non ha il consenso del malato per proseguirlo. Non c’è differenza bioetica e biogiuridica tra non iniziare e sospendere un trattamento, fosse anche salvavita».

Quella dei Lions è stata una conferenza molto partecipata; c’è stato molto interesse e numerose sono state le domande. Tra i presenti persone di tutte le età e anche diversi medici. Non sono mancati momenti di commozione: diversi presenti, data l’esperienza pluriennale del dottor Taveggia, nelle cure palliative, sul territorio, avevano incrociato il suo servizio, avuto a che fare con il suo sguardo e la sua umanità.

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