«Nei nostri ospedali più amore e meno burocrazia»

Una situazione che mette in sofferenza anche medici e infermieri

Ho appena parlato con uno dei miei tanti cari amici che sono stati danneggiati dal Coronavirus o meglio da come l’organizzazione sanitaria non è stata in grado di affrontarlo adeguatamente soprattutto all’inizio della pandemia. Le misure di sicurezza, soprattutto in ambito sanitario, andavano prese subito. Anche a livello politico all’inizio il fenomeno è stato sottovaluto e poi ovviamente è scattata l’emergenza pagata a caro prezzo da tante persone.

Penso che sia il caso di chiedersi se l’organizzazione sanitaria italiana basata sul sistema burocratico del “protocollo” non evolva verso il sistema umanistico di mettere al primo posto il rapporto empatico tra operatori sanitari e persone che stanno male (basta con la parola “pazienti”). La terapia comincia dal modo in cui si viene accolti da chi ha scelto di aiutarti a stare meglio e specifico “ha scelto” e non “deve”. Infatti il cambiamento che propongo è che la professione sanitaria per essere efficiente deve nascere non da un bisogno di sicurezza economica, legittimo ma insufficiente, ma da un desiderio essere utili al prossimo.

Nella mia esperienza di utente del servizio sanitario ricordo con grande piacere tutti gli operatori che mi hanno trattato con gentilezza e fraternamente, che già questo quando si sta male è veramente di grande aiuto.

Spesso l’ospedale più che un luogo dove alleviare il disagio si presenta come una caserma dove i primi a soffrire sono gli operatori sanitari che vogliono svolgere empaticamente, con il cuore il proprio compito nei confronti dei pazienti. Sono stato in alcuni ospedali norvegesi e li mi sentivo in vacanza mentre in Italia mi sono sempre sentito in caserma. Per fortuna la gentilezza di alcuni medici e soprattutto di molte infermiere mi ha reso la caserma sanitaria più vivibile. Spero che questa situazione cambi: meno burocrazia e più amore.

Paolo Buttiglieri

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