Teodoro Cotugno racconta Lodi: i luoghi e i silenzi diventano poesia

Le piazze, le chiese, i tetti: nelle acqueforti dell’artista di Salerano si ritrova la magia senza tempo della città

Riusciremmo a immaginare la piazza maggiore di Lodi senza il “suo” duomo imponente coi restauri di Alessandro Degani? Fosse anche per gioco, una decostruzione immaginativa, procurerebbe una visita dallo psicanalista...

Il centro geometrico della città e la sede primaziale vescovile sono infatti due parti costitutive vincolate. Insieme qualificano la rappresentazione visiva, concreta e scenografica, diffondono suggestione, il sentimento simbolico. Danno sintesi visiva a componenti figurative, che non si accontentano solo di armonia, proporzione, equilibrio. La spazialità della piazza, la sua dimensione, composizione e direzione, dilatano i criteri di lettura dalle costanti culturali architettoniche e urbane alle dimensioni “umane”. Come un grande quadro storico che risucchia l’habituè, il frequentatore o il visitatore.

Fa dispetto prendere atto che non basta più a farne occasione e tema d’intervento per gli artisti locali che sembrano averlo dimenticato. Solo perché il duomo e la piazza appartengono a una “bellezza precedente”. Oggi la pittura è fatta di artificio, il soggetto non conta o conta appena appena. Lo diceva già cent’anni fa Apollinaire. Piazza e cattedrale non stregano più l’esercizio pittorico. C’è un solo bastian contrario, uno che con punte, raschietti, lastre di zinco e rame, vernici e colle, con immediatezza crittografica, tirando il suo tornio a mano, ne salva i valori iconografici e ambientali con fresche magnetiche acqueforti.

Non serve il nome a riconoscerlo: con l’autorevolezza che gli riconoscono in tutta Italia, Teodoro Cotugno ha esteso il soggetto a contenuto e materia di un cammino a rebours che rischiara la memoria e convince artisticamente per la scrittura incisiva, a tratti veloce, a tratti complessa, mai brusca, sempre cordiale, con cui riempie immagini della piazza del duomo: sotto la neve, animata dal mercato settimanale, osservata da una coppietta, impreziosita dal protiro della cattedrale, con lo svettare dei campanili e dei tanti effetti discreti e suggestivi procurati dalla realtà quotidiana una varietà che l’artista coglie accentuando a volte con il chiaroscurale di un ordito realizzato da una fitta rete di segni.

Nelle calcografie si rivela la poetica dell’artista, impegnato a tradurre i luoghi e i monumenti di maggior prestigio della città (il duomo, l’Incoronata, San Francesco, il Broletto, il Torrione, il Castello, San Lorenzo, la Fornace, le Baste, gli angoli e le rovine storiche, i particolari della natura ecc.). Nelle tirature primeggia la grafia della punta e dell’acquaforte, quanto mai varia e ricca, che si estende all’espressione e alla comunicazione con distesa mobilità e andamenti paralleli. L’acquaforte è per Cotugno un linguaggio eloquente, incisivo, che l’artista usa con insistita eleganza, e a volte con disinvolta spigliatezza di segno e una bianca o appena sfiorata tonalità,

Rappresenta un mondo solo in parte “inventivo”, alimentato da una cultura progressiva di innovazione del segno inciso, così come di quello stampato, che l’artista lucidamente sperimenta e fa coincidere con le esigenze delle sue idee. È un mondo descritto con commosso rigore compositivo e filtri luminosi e cromatici da cui esala la poesia del silenzio.

Nelle acqueforti sulla piazza e il duomo insieme ai particolari descrittivi non si fatica a godere della poesia complessa e ispirata di una intera città.

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