Squid Game

SIAMO SERIAL: il caso del momento, la serie coreana che sta sbaragliando la concorrenza

Due sole parole per voi, questa settimana: Squid Game. E risolviamo subito l’enigma del titolo: il gioco del calamaro. Una serie tv da vedere, non fosse altro per una ragione: non assomiglia a nessuna delle fiction in circolazione, soprattutto per la sua trama; piuttosto ricorda film, libri e show, ma niente a che vedere con i crime che spopolano sulle piattaforme a pagamento. Un prodotto sudcoreano, a realizzarlo il regista Hwang Dong-hyuk, che ha inserito numerosi elementi legati alla società e alla cultura del suo paese, un paese che negli ultimi anni ha investito moltissimo nell’industria dello spettacolo, tanto da diventare un’autentica potenza nel cosiddetto “soft power”.

Difficilissimo scriverne evitando spoiler, di cui, per altro, la rete pullula. Meglio non addentrarsi troppo nella trama, quindi. Vi basti sapere che si tratta di un crudele gioco a eliminazione. Nove episodi per raccontare la storia di un gruppo di persone (squattrinate e ai margini) pronte a rischiare tutto pur di vincere il premio in palio, pari a 33 milioni di euro.

Una metafora spietata della società moderna, competitiva e iniqua, governata da disparità socio-economiche. Seong Gi-hun, il protagonista, è un uomo divorziato e sommerso dai debiti, al pari degli altri personaggi, tutti invitati a partecipare a una serie di giochi tradizionali per bambini per conquistare il monte premi. I concorrenti, portati in un luogo sconosciuto, sono più di quattrocento, sorvegliati costantemente da uomini vestiti di rosso, guidati da un misterioso leader miliardario. Ben presto i concorrenti dovranno scegliere la strategia migliore, fare gioco di squadra o pensare a se stessi? Ognuno di loro subirà una trasformazione eclatante nel corso delle puntate, nel bene e nel male, destreggiandosi in sfide sia fisiche che mentali.

Squid Game sa essere brutale, nella sua rappresentazione “dark” della realtà, con qualche inserto che vira all’horror, ma sempre più dal punto di vista psicologico che prettamente visivo. Di certo è una serie tv disturbante, una critica all’ingiustizia, alle barriere tra classi sociali, alla potenza strafottente di chi dispone di patrimoni illimitati. In fondo, per tutte le puntate, resta in agguato una domanda: sicuri che la vita normale, quella là fuori, sia davvero peggiore dei giochi a eliminazione?

È anche una serie tv dall’impronta decisamente creativa, che va di pari passo a una tensione crescente. Il set e i costumi sono molto colorati, a suggerire sì un mondo fantastico, ma anche un videogioco. Corridoi, scale, un labirinto che evoca tante cose: videogame, appunto, prigioni, colonie di formiche e… le opere di Escher.

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