Ponte sul Po: la procura sa cos’è successo

Chiuse le inchieste tecniche, adesso si attribuiscono le responsabilità

Le indagini sul crollo del ponte della via Emilia sul Po tra San Rocco al Porto e Piacenza sono terminate, ma solamente sotto il profilo tecnico: ora deve essere portato a compimento il lavoro di definizione dei profili di responsabilità. E quanto tempo sia ancora necessario, in procura a Lodi non se la sentono proprio di preannunciarlo. Non si esclude nemmeno che, prima di inviare l’avviso di fine indagini, possa essere necessaria un’ulteriore proroga.

Il pm Delia Anibaldi, titolare dell’inchiesta sul crollo avvenuto poco dopo il mezzogiorno del 30 aprile 2009, sembra essersi fatta un’idea molto chiara della dinamica dell’evento. Quale sia, al momento non trapela, anche se il fatto che le diverse perizie fossero già state messe a disposizione delle parti aveva già fatto trapelare alcuni elementi sostanziali riguardo alle conclusioni cui erano approdati i tecnici.

Innanzitutto, il crollo sarebbe stato un evento graduale, e non repentino, innescato dallo sfilarsi di un giunto metallico. Che avrebbe portato al sovraccarico di altri giunti fino al cedimento che portò una delle campate sulla golena lodigiana a staccarsi da una delle pile e a piombare sul campo sottostante, sul quale in quel momento correva l’acqua perché il Po era in piena. Una piena che comunque, a detta del perito della procura Davide Mambretti, ingegnere idraulico del Politecnico di Milano, non era di portata tale da poter causare danni alla struttura. Una tesi che sembra convergere con quella di un altro dei periti dell’accusa, il geologo Fabio Ciapponi, che, impiegando strumentazioni di altissimo livello aveva misurato le distanze tra i pilastri, prima che il vecchio ponte venisse demolito, arrivando alla conclusione che la parte in muratura fosse rimasta al suo posto. Anche se i lavori di consolidamento che erano stati avviati l'anno prima del crollo erano stati sospesi per la stagione invernale e dovevano essere ancora completati.

A quel punto, l'attenzione della procura si era concentrata sulla manutenzione dell'impalcato metallico: Piergiorgio Malerba, già dal 1990 consulente esterno dell'Anas per la manutenzione del ponte, era stato tra i primi a venire sentito in procura, ma aveva dimostrato di aver più volte segnalato all'azienda che le travi metalliche andavano sostituite. E il suo nome non era finito nell'elenco dei 16 indagati, che sono tutti dipendenti o ed dipendenti Anas.

L’ultima perizia consegnata in procura è stata quella realizzata dall’Anas stessa, in veste di parte offesa, e affidata all’ingegner Michele Mele, lo stesso professionista che ha curato la ricostruzione del nuovo ponte, appoggiato ancora sugli storici pilastri: una perizia che invece esclude che il crollo fosse stato causato da lesioni evidenti delle travature metalliche o dei giunti, attribuendo invece il cedimento della “sella Gerber” che collegava diversi elementi dell’impalcato, la struttura orizzontale del ponte, a un difetto “occulto”, dovuto a carenze del materiale usato per riparare il ponte dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale.

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