IL CASO Lavora da 32 anni in ospedale a Codogno, ma da aprile un 52enne down dovrà restare a casa

L’assistente va in pensione e dopo mesi di richieste nessuna risposta alla mamma del disabile

Da 32 anni Massimiliano Bono lavora al guardaroba dell’ospedale di Codogno: piega camici e pannicelli, fa su e giù dei reparti a portare i cambi col carrello, sistema e riordina dalle 8 alle 15.40. Ma il 28 marzo sarà il suo ultimo giorno di lavoro. E non per scelta. «Prima non era così all’ospedale, questi ragazzi adesso non li vuole più nessuno al lavoro» si sfoga la madre Costanza, 76 anni e una vita al fianco del figlio Massimiliano, che è un “ragazzo” Down e di anni ne ha 52. Quasi 53 a dire il vero: li compirà il 31 marzo.

Ma per come stanno le cose non c’è niente da festeggiare. Cosa festeggia? Che resterà disoccupato? Ad affiancarlo in questi anni c’era una dipendente che oltre al suo incarico, seguiva Massimiliano al lavoro. Ma dall’1 aprile lei andrà in pensione. E da solo Massimiliano non può restare. Da sei mesi la madre non sa più a quali porte bussare per chiedere di fare qualcosa, ma è stato tutto un «le facciamo sapere», «le ritelefono» e compagnia cantando. Senza che nessuno, in questi sei mesi, abbia mosso un dito.

«A ottobre sono andata dal responsabile del personale per chiedere se non si poteva spostare Massimiliano in un altro reparto, ma mi ha risposto di no, perché non danno più l’accompagnamento, per cui dovrebbero metterlo a lavorare con un’altra persona ed è un problema – spiega la donna -. Mi aveva detto che mi avrebbe telefonato e fatto sapere, ma sono passati sei mesi e devo ancora avere la risposta». Intanto Costanza non è rimasta con le mani in mano. E ha chiesto che il figlio sia dichiarato inabile al lavoro. «Sembrava quasi sollevato quando l’ho proposto – mastica amaro -. Mi ha detto che avrebbe telefonato al responsabile e avrebbero presentato loro la domanda». Ma anche stavolta è calato il silenzio.

A febbraio la donna è tornata a farsi sentire, e così ha fatto a metà marzo, quando le è stato detto chiaramente che non era stata presentata alcuna domanda. La madre si è perciò rivolta al sindacalista Gianfranco Bignamini, che ha immediatamente scritto all’Azienda ospedaliera, al Questore, al Prefetto, oltre che all’AIPD (Associazione Italiana Persone Invalide) di Bergamo e al sindaco di Codogno, chiedendo d’intervenire: «Questo ragazzo non può non avere un futuro lavorativo – attacca -. Lo stipendio se lo guadagna e se non si sa dove inserirlo, l’Azienda ospedaliera deve almeno portare il caso alla Commissione provinciale per la richiesta d’invalidità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA