Wojtyla, il coraggio e la fede

È anche una grande festa per l’Italia e gli italiani la beatificazione di Giovanni Paolo II. Perché, primo Papa straniero dopo secoli, è stato anche un grande interprete di Roma e dell’Italia. Della città di cui era diventato e si sentiva fortemente Vescovo aveva pienamente raccolto il carattere insieme universale e familiare, quasi atemporale, per cui tutti si possono sentire a casa propria, in una terra nello stesso tempo molto marcata dai segni identitari, ma senza confini. All’Italia ha saputo parlare, senza retorica, ma con la credibilità del testimone, di patria. E ha instancabilmente collegato questo suo appello all’idea che l’Italia avesse qualcosa di molto importante da dire e da fare in una Europa che a sua volta, riunificandosi, doveva ritrovare un ruolo di civiltà, a partire dall’eredità e dall’identità cristiana.

Giovanni Paolo II insomma non era assolutamente convinto di un inevitabile destino di secolarizzazione, per l’Italia e per l’Europa. E lo dimostra con il coraggio delle opere, nella certezza della fede. È questa naturale sintesi, che tutti coloro che gli sono passati anche solo per poco accanto, testimoniano essere fondata sulla realtà misteriosa e trasparente della preghiera continua, il grande messaggio pubblico, politico e sociale, che Giovanni Paolo II ha lanciato.

Nell’Italia e nella stessa Chiesa italiana della fine degli anni Settanta, provoca effetti dirompenti e fragorosi, getta semi inediti, destinati a fruttificare nel corso del decennio successivo e molto oltre. Alla stagione della crisi, che tocca il suo apogeo proprio durante gli anni Settanta, succede così quella della “riconfigurazione” del mondo cattolico, privo ormai di complessi in ordine ad una modernità di cui è pienamente partecipe, come terreno di quella che il Papa definisce “nuova evangelizzazione”, sempre nel quadro di una realtà di popolo. Una chiesa di popolo in una vita di popolo, il popolo italiano, che Giovanni Paolo II accompagna in tanti frangenti, dalle pulsioni secessioniste dei primi anni novanta al passaggio del giubileo, alle scelte di politica internazionale, di fronte alla pace ed alla guerra, nei Balcani e nel Medio Oriente.

“Sono convinto che l’Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa”. Lo ha scritto in una famosa lettera dell’Epifania 1994, al culmine della “crisi italiana”. Può valere anche oggi come indicazione, per tutti.

E nello stesso tempo può rappresentare anche il trait d’union con l’appello che Benedetto XVI ha fatto risuonare e il presidente della Cei cardinal Bagnasco ha ripreso per una “nuova generazione di cattolici impegnai in politica”. Vino nuovo in otri nuovi, viene da dire, per il movimento dei cattolici in Italia, così da mettere a frutto quel patrimonio e quell’eredità, che Giovanni Paolo II ha rinvigorito, in termini nuovi e persuasivi.

A partire e sempre ritornando ad uno dei segreti di Karol Wojtyla, il coraggio delle opere sulla base della certezza della fede.

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