Vivere in carcere, in agosto

«Saluta i miei amici in carcere, ho pregato tanto per loro». Tutte le mattine varco il portone di San Vittore con ancora nella mente le richieste e le domande di chi magari mi ha appena augurato una buona giornata. Da chi fa sue le preoccupazioni dei detenuti al punto da dirsi loro amico, a chi ha ancora qualche remora al vedermi “sprecato” lì dentro. «Don, che ci fai lì? Saresti stato un così bravo prete con i giovani!». Ma qui è pieno zeppo di giovani - mi rispondo sorridendo - e, presa l’ultima boccata d’aria, entro.Entro e scendo. Scendo in un altro mondo, un mondo che sta sotto. Sotto ogni livello. Il corpo è sottoposto a pressioni e fatiche di ogni genere. Mancanza di aria, di spazio, di luce. Mancanza di vestiti e di igiene. Mancanza di calore di inverno e di fresco d’estate. Mancanza di una mano che ti stringa e ti carezzi il viso. Sotto il livello di quell’intimità che ti consentirebbe almeno di piangere. Macché, nemmeno quello puoi fare senza esser visto.Entro e scendo e, come in ogni abisso, cambiano le proporzioni di ogni cosa. Il “mondo della comunicazione” si ferma alle porte. Qui la parola ha pesi differenti e i metodi di comunicazione interpersonale sono quelli di un fronte di guerra. Guerra punica intendo. Qui si usa la posta. Quando c’è carta però. Quando hai il francobollo, quando conosci la tariffa per l’estero, quando la nave porterà i tuoi auguri al di là del mare e un’altra ti riporterà la risposta (ma tu nel frattempo sarai stato trasferito altrove...).Entro e scendo, scendo agli inferi. Scendo e scopro che lo Spirito di Dio si aggira per questi lunghi corridoi e lavora per trasformarli. Perché, come diceva sempre il vecchio cappellano don Luigi, «un cattivo diventa buono solo se gli dai bontà». Ho qualche possibilità di diventare buono - mi dico -, per questo sono felice di esser qui. Lo Spirito di Dio trasforma. Trasforma un corridoio in cattedrale, un’inferriata in finestra di monastero, una persona limitata come me in evangelizzatore.Cinque Messe la domenica, una o due nei giorni feriali. Catechesi, sacramenti, scuola della Parola, rosario, confessioni, dialoghi personali - tanti, infiniti - con richieste di ogni genere, dal paio di ciabatte alla benedizione. Messe con rappresentanze di tutto il mondo da fare invidia al Papa alle giornate della gioventù. Un solo esempio: al reparto dei giovanissimi si stipano nella cappellina per la Messa la domenica mattina alle 8.30. Sono italiani, moldavi, rumeni, sudamericani, cinesi, marocchini ed egiziani. Tra loro ci sono cattolici, ortodossi, evangelici, musulmani e chi nemmeno sa che dire. Chi è cattolico riceve la Comunione, chi non è battezzato ascolta. Chi non sa l’italiano guarda i gesti del prete cristiano.Occhi spalancati, silenzio religioso. Passa Dio quaggiù. Chiedono Bibbie nella loro lingua e libri di preghiera: spagnolo, cinese, francese, inglese, rumeno, russo, italiano. Chiedono rosari: chi lo tiene in tasca, chi lo mette al collo. Chiedono immaginette da stringere forte, che li facciano sentire a casa, quando andavano da padre Pio o dalla Virgen de Guadalupe e davanti alle icone stupende e severe dell’Est.Chiedono francobolli, carta e penna e ci chiedono pure le tariffe, perché «così magari arriva davvero a casa la mia lettera» (0.60 euro per l’Italia, 0.65 per Europa e Nord Africa, 0.85 per il resto del mondo). Chiedono qualche felpa, qualche tuta, sapone e shampoo. Chiedono di poter sentire bene quanto dicono i cappellani alla Messa, perché se l’impianto audio fa cilecca, addio evangelizzazione! Chiedono - le donne - un tetto nuovo per la loro cappellina, chiusa qualche settimana fa perché pericolante. Era un luogo dove si sentivano a casa, in silenzio e in pace, con la statua della madonna che raccoglieva le loro preghiere, il lume acceso al tabernacolo e le stazioni della Via Crucis alle pareti. La riavranno? Ci sarà un tetto?Noi chiusi quaggiù sappiamo che voi lassù ci pensate. Voi lassù sapete che sotto il vostro mondo c’è un altro mondo, sotto le vostre Chiese c’è un’altra Chiesa. Una Chiesa che in corridoio prega e celebra in ginocchio e a mani giunte.

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