Una nuova “etica finanziaria” per sanare le ferite del Covid

L’editoriale del direttore del «Cittadino» Lorenzo Rinaldi

Dal movimento francescano, nel Quattrocento, nacquero i Monti di pietà. Le città si stavano sviluppando e con esse i commerci, eppure quella che potremmo definire una “piccola globalizzazione” rischiava di arricchire unicamente i mercanti (la borghesia) escludendo dal benessere le grandi masse. I francescani intuirono la necessità di una nuova finanza, al servizio degli ultimi, che in alternativa sarebbero finiti nelle mani degli usurai. Applicarono quindi concetti economici come il prestito a lungo termine e il tasso di interesse che permetteva unicamente di coprire le spese.

Nel Seicento, al tempo delle guerre di religione tra cattolici e protestanti, la sola fede cristiana non era più sufficiente a garantire la sicurezza delle transazioni. In Europa nacquero dunque borse valori e banche centrali, nuove istituzioni finanziarie pensate per garantire - con l’elemento della fiducia - gli scambi commerciali e valutari.

Nella seconda metà dell’Ottocento, nel pieno della rivoluzione industriale, il quadro cambiò ulteriormente. Lo scenario si fece più complesso e le istituzioni economico-finanziarie fino ad allora conosciute non erano più in grado di assolvere a pieno ai loro compiti. Dagli ambienti cattolici e socialisti fiorirono dunque banche cooperative, banche rurali, casse di risparmio, enti di mutuo soccorso. Nel Lodigiano, il laico Tiziano Zalli fondò nel 1864 la Banca Mutua Popolare Agricola di Lodi, mentre - ispirate dalla “Rerum Novarum” - furono oltre trenta le casse rurali avviate dai parroci all’ombra dei campanili dai primi del Novecento, per cercare di estirpare la piaga dell’usura (*).

A metà del Novecento, alla fine della Seconda guerra mondiale, nacquero nuove istituzioni politiche che sono arrivate ai giorni nostri, le Nazioni unite e la Comunità europea. La guerra aveva però affievolito la fiducia tra gli stati anche in ambito economico: era dunque necessario dotarsi di organizzazioni e meccanismi in grado di rafforzarla e proprio su queste basi gli accordi di Bretton Woods partorirono la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale.

Nel corso della storia tutte le crisi economiche e sociali, spesso provocate dalle guerre, hanno innescato processi di innovazione in ambito finanziario. E anche in assenza di guerre - pensiamo alla rivoluzione industriale dell’Ottocento - a generare il cambiamento fu una tensione sociale molto forte.

Oggi il mondo attraversa una crisi non diversa da quelle già sperimentate nei secoli precedenti e che furono foriere di grandi novità. La pandemia ha mostrato agli uomini la forza della natura, ha evidenziato come la distruzione della “casa comune” sia strettamente collegata alla diffusione del virus. Papa Francesco ha ricordato che siamo tutti sulla “stessa barca”, in mezzo alla tempesta, e nessuno si salverà da solo.

Servono nuovi paradigmi di sviluppo, rispettosi dell’ambiente, delle risorse della terra e della dignità dell’uomo. E servono nuovi strumenti finanziari che siano realmente al servizio del bene comune. La globalizzazione ha permesso a milioni di persone di elevarsi dalla soglia di povertà nei Paesi del terzo mondo, ma il prezzo pagato a livello mondiale è stato altissimo: pensiamo allo sfruttamento dei bambini nelle fabbriche, allo spopolamento delle campagne e all’innaturale crescita di megalopoli (dall’India alla Nigeria) nelle quali si concentrano milioni di persone. La globalizzazione ha provocato anche la feroce delocalizzazione che ha peggiorato le condizioni di vita della “working class” (la classe lavoratrice) in Europa e negli Stati Uniti: l’affermazione del trumpismo e la Brexit sono figli anche del malessere generato da questi mutamenti epocali.

Occorre superare tutto questo, come indicato anche dalle 12 richieste ai grandi della terra scaturite dall’evento di Assisi “The economy of Francesco”. “Le grandi potenze mondiali e le grandi istituzioni economico-finanziarie rallentino la loro corsa per lasciare respirare la terra”, hanno scritto i giovani partecipanti all’incontro internazionale. “Vengano immediatamente aboliti i paradisi fiscali”, hanno aggiunto. “Si dia vita a nuove istituzioni finanziarie mondiali e si riformino, in senso democratico e inclusivo, quelle esistenti (…). Si premi la finanza sostenibile ed etica, e si scoraggi con apposita tassazione la finanza altamente speculativa”. n

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*Le banche di credito cooperativo hanno una storia relativamente recente: nate in Germania nel 1848 si diffusero quasi subito in Austria, in Francia ed in Ungheria mentre l’esperienza in Italia fu iniziata solo nel 1884.

Con la “Rerum Novarum” gli italiani, specialmente il clero, decisero di aderire con una certa consistenza all’iniziativa. Delle tre casse rurali esistenti nel 1892 si passò alle circa 2.000 fra il 1900 ed il 1914.

Nel territorio lodigiano i primi sodalizi economici risalgono solo all’aprile del 1906 con la nascita, a Caselle Landi, della Cassa rurale San Savino. Nel 1907 nascono la Cassa rurale di depositi e prestiti di San Colombano al Lambro, costituita il 14 gennaio, e la Cassa operaia SS. Naborre e Felice di Lodivecchio, nata il 14 dicembre, seguite dagli istituti fondati nel 1908: la Cassa rurale di prestito San Cristoforo di Meleti (del 27 febbraio), la Cassa rurale di prestito di Orio Litta (del 18 febbraio), la Cassa rurale di prestito San Giovanni di Guardamiglio e la Cassa rurale di prestiti e risparmio di Borghetto Lodigiano (del 16 agosto); quindi la Cassa rurale Sant’Andrea di Crespiatica e la Cassa rurale di prestito SS. Gervasio e Protasio di Maleo nate, rispettivamente, il 25 marzo ed il 20 maggio del 1909.

Nel 1915 in tutto il territorio se ne contavano una trentina, altre ne nasceranno in seguito.

Dopo la caduta del fascismo qualche cassa rurale ed artigiana finì per essere assorbita da nuovi istituti di credito mentre negli anni Sessanta e fino agli anni Ottanta del Novecento il Lodigiano vantava ancora la presenza di una dozzina di casse, qualcuna addirittura nata in tempi recenti: ad esempio, quella di Salerano sul Lambro costituita nel 1957. (Si ringrazia Angelo Stroppa)

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