Una manovra sempre fedele al vecchio stile

Ci sono due modi di toccare i conti pubblici: con tagli pesanti e diretti (del tipo: licenziamenti di massa); con grattatine in tutti i barili della spesa pubblica e un’ulteriore strizzatina delle mammelle dei contribuenti. Se in altre economie occidentali la prima soluzione è considerata e a volte attuata, in Italia si predilige certamente la seconda. Giustamente: si evita così quella “macelleria sociale” che getta nella disperazione migliaia di famiglie e provoca disordini di piazza.

Anche l’ultima “manovra” governativa – che serve a riequilibrare i conti pubblici da qui al 2014 togliendo in sostanza 40 miliardi di euro dalla spesa pubblica – sta nel solco italico della fantasia contabile. Una serie di decine di micro-provvedimenti (qualcuno più rilevante, molti minimali) che servono a grattare qua e là quel che serve alla bisogna.

Questa volta l’immaginazione dei tecnici del ministero dell’Economia ha escogitato: un condono sulle liti fiscali particolarmente vantaggioso per chi ha contenziosi con l’Erario inferiori a 20mila euro; un superbollo ancora da precisare sulle auto di rilevante potenza; un incremento dell’Irap per banche, assicurazioni e società finanziarie; un tentativo di maggior tassazione delle transazioni finanziarie con l’estero e dei mini-acquisti azionari; il ritorno dei ticket sanitari sulle visite specialistiche e sugli esami diagnostici; un ulteriore taglio dei trasferimenti agli enti locali.

Purtroppo si ritocca anche la previdenza, l’ennesimo lifting negativo dal 1995 ad oggi. È infatti prevista una stretta tramite l’agganciamento dei requisiti pensionistici all’aspettativa media di vita già dal 2014. Significa che il limite d’età si alzerà seguendo quello della vita media della popolazione: si muore più tardi? E più tardi si andrà in pensione, automaticamente. Salirà pure l’età pensionabile delle donne: dal 2020, un mese in più di lavoro, in modo tale che nel 2032 l’età minima passerà dagli attuali 60 ai futuri 65 anni. Infine ulteriore sforbiciata alle rivalutazioni delle pensioni “d’oro”, che se non sono da fame è solo perché chi ne usufruisce pagò a suo tempo fior fiore di contributi. Mal gliene incolse.

Oltre al bastone, nell’insalata governativa c’è pure qualche carota. Sarebbe rivoluzionaria la norma che prevede un tetto di 6 anni alla durata dei processi civili. Ma è cosa che non si realizza con colpo di bacchetta, bensì con una serie di modifiche legislative che rivoluzionino l’attuale, desolante quadro della giustizia italiana. In chiaroscuro la decisione di liberalizzare completamente gli orari dei negozi nei Comuni d’interesse turistico: la chiusura domenicale si avvia mestamente in soffitta. E veramente vantaggiosa per i giovani sotto i 35 anni e per i cassintegrati è la norma che prevede la tassazione del 5% appena dei redditi autonomi, per 5 anni. Significa in sostanza non pagare tasse per un lustro.

Infine va nel senso giusto la maggior tassazione delle rendite finanziarie prodotte da azioni e obbligazioni, esclusi i titoli di Stato. Gli interessi saranno tassati al 20% rispetto al generoso 12,5 di oggi.

Infastidisce infine che le due carote più grosse siano toccate a chi avrebbe dovuto invece assaggiare altro. Il ministro Tremonti aveva proposto una bella stretta ai costi della politica. Grasso che cola se la stretta iniziale non si trasformerà in una limatina finale del 10%; ma c’è da scommettere su percentuali ancor più basse. Quindi le multe per lo sforamento delle quote latte: nuovo rinvio. L’ennesimo favore a circa 2mila allevatori che non intendono in alcun modo pagare. Alla faccia delle decine di migliaia di allevatori che le multe le hanno pagate tutte, e a tempo debito.

Sullo sfondo rimane la promessa riforma fiscale, cioè il taglio delle tasse, per il quale comunque sarà impossibile agire con la tecnica della grattatine dei mille barili. Le cinque attuali aliquote si dovrebbero ridurre a tre, anche se nessuno parla degli scaglioni di reddito su cui si pagherà il 20, 30 o 40% di Irpef. A finanziarla – in parte – dovrebbe essere l’Iva, imposta che colpisce la compravendita di beni e non i redditi da lavoro. Si parla di aumentarla di un punto percentuale: ora è generalmente al 20% (10% su alberghi, bar e ristoranti; 4% su generi alimentari di prima necessità, libri e giornali). Ma è materia molto delicata: l’aumento dell’Iva si riflette immediatamente sull’inflazione, che a sua volta si mangia i redditi… Come non esistono pasti gratis, non esistono soluzioni facili e soprattutto indolori.

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