Una cordata di imprenditori per rilanciare il latte lodigiano

Un nuovo soggetto industriale, cooperativa o società, creato da una cordata di allevatori lodigiani per entrare nel mercato della trasformazione, vero tallone d’achille della filiera agroalimentare lodigiana. Il presidente della Provincia Mauro Soldati ne aveva parlato all’inaugurazione della Fiera di Codogno quasi come una suggestione, un’idea di qualche avventuroso. Ma in realtà c’è molto di più, un piano industriale già fatto e un’area potenziale da rendere sito produttivo già individuata, in Lodi. Il costo dell’operazione è stimato in 25 milioni di euro di investimento. Top secret il nome degli allevatori e degli agricoltori coinvolti, ma il gruppo sta con cautela muovendo i primi passi con le istituzioni.

Questione di sopravvivenza

Il tema è centrale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’agricoltura lodigiana e degli allevamenti da latte. Nella crisi delle stalle da latte lodigiane, la prima responsabilità è da tutti indicata nel conflitto permanente tra gli allevatori che producono e le industrie di trasformazione, che di fatto impongono il prezzo, quasi sempre al ribasso. La battaglia sulla qualità del latte lodigiano non produce effetti rilevanti, se non in produzioni di nicchia incapaci di assorbire i volumi importanti della produzione del territorio. E le cooperative nostrane negli anni non hanno mai puntato sulla trasformazione del prodotto nel nostro territorio, con la sola Cooperativa Santangiolina che ha volumi interessanti, ma fuori dal Lodigiano (a Pandino e Cereta Volta Mantovana). Secondo un’indagine del 2012 condotta da Provincia, Camera di commercio e Parco tecnologico padano, solo il 12,3 per cento del latte prodotto dagli oltre 300 allevamenti di vacche lodigiani era trasformato in loco. E non c’è alcun motivo per credere che quei numeri siano migliorati. In compenso il conflitto con gli industriali sul prezzo del latte si è fatto sempre più acuto, e l’esigenza di trovare sul mercato una valorizzazione del prodotto sempre più impellente.

Chiudere la filiera

Ora sembra che gli allevatori lodigiani vogliano prendere in mano la situazione direttamente. Il modello è quello della cooperativa cremonese Prosus, che ha aperto la strada nella filiera del suino e che oggi annovera come soci un centinaio di allevatori, tra cui diversi lodigiani. Gli allevatori conferiscono gli animali, la Prosus macella e trasforma, e poi commercializza in diverse linee arrivando sul mercato con marchio proprio, e quindi potendo riconoscere la qualità ai produttori anche nei prezzi. L’annuncio di un’iniziativa analoga nel mondo del latte lodigiano era stato dato il 15 novembre scorso alla Fiera di Codogno dal presidente della Provincia Mauro Soldati in questi termini: «Qualcosa sta cambiando anche nel Lodigiano - aveva detto il presidente -. Lo diciamo con prudenza, ma alcuni allevatori stanno portando avanti l’idea di entrare nella trasformazione del prodotto per poi chiudere la filiera». Dietro la riservatezza di Soldati nell’annunciare l’iniziativa, sembra però che ci sia già ben più di un’idea. Gli allevatori che hanno contattato la Provincia per il progetto si sono presentati con un piano di fattibilità, l’indicazione di un’area in Lodi con caratteristiche ottimali per realizzare lo stabilimento e anche una stima di massima dei costi dell’investimento, 25 milioni di euro circa. E anche le istituzioni sono in movimento. Se ne è parlato durante la visita di Roberto Maroni e della giunta regionale a Lodi lo scorso 18 novembre, e il governatore Maroni avrebbe dato il suo assenso all’iniziativa, promettendo l’impegno e il supporto delle strutture regionali dell’assessorato all’Agricoltura per accompagnare gli allevatori nel percorso per trasformare l’idea in una proposta concreta.

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