Tutti verdi. Ma lo siamo veramente?

Si parla sempre più green. Quasi solo green. Ma che pizza! Come si fa a stare sempre a festeggiare la natura, la fortuna, la felicità, la salute, il benessere, l’ambiente, la dieta, la meraviglia, il paesaggio, la vacanza. Tutto si è dato al verde, persino la benzina, persino il petrolio, la tecnologia, l’arte, la moda, l’arredo urbano, l’abitare, il turismo. Zone verdi, numeri verdi, moda green, carburanti green, treni green, partiti green, magazine green, green economy. Green sono anche i cassonetti della spazzatura. Basta, basta così! Il simbolo è bello, agreable, per certi aspetti confortante. Ma dietro a tanto verde cosa si nasconde se, per uno stupefacente rovesciamento, siamo un pianeta che inquina sempre più fiumi, mari, campagne, vette, deserti di scorie e scarichi pericolosi,; che chiama “sviluppo” tonnellate quotidiane di alimenti non consumati, la cementificazione, le centrali, la mobilità, il saccheggio delle coste e dei territori urbani, la cancellazione delle foreste… Una volta la facoltà di distinguere spontaneamente il vero dal falso, il buono dal non buono lo chiamavano ”buon senso”. Le persone capaci di averne passavano per equilibrate, non deformate da pregiudizi, non suggerite da passioni e interessi transitori. Erano persone che non accettavano meccanicamente dall’ambiente idee e linguaggi confezionati. Che non si lasciavano conquistare in modo passivo e superficiale dalle parole sugli ecosistemi e dalle opinioni correnti che, sia detto per inciso e personale convinzione, possono qualche volta essere buone e fondaste, ma che, in sé, non hanno alcuna garanzia e certezza di essere tali. Se oggi una qualche definizione di buon senso esistesse, invano cercherebbe sulla terra il buon senso.Al “buon senso” si è preferita la “compatibilità”, presa a corrispondente di “sostenibilità”. Come green, anche compatibilità/sostenibilità è un termine stracotto. Un omaggio quotidiano che rendiamo ai grandi bolliti. Lo si usa senza sapere cosa s’intende dire. Se la compatibilità la si intende in senso astrologico, sentimentale, pianificatorio, programmatico… Se la sostenibilità è col clima, la terra, l’ambiente, l’economia, il potere, il sistema. Si dice compatibile/sostenibile e basta. Perché riempie il discorso, lo rende engagè. Avrà anche sfumature, ma non si sente il bisogno di notarle o di farle notare. Nei discorsi politici l’ambivalenza è sempre accettata senza problemi. Lo sviluppo sostenibile è una chicca, un cioccolatino che tiene insieme gusti diversi, obiettivi distanti. Teoricamente finalizzato a dare senso alle policy di miglioramento ambientale, economico, sociale, istituzionale, sia a livello locale che globale. Presuppone interdipendenza. Raro ritrovarla in sede di decisione e attuazione.Che il nostro futuro sia nelle mani delle parole e di una informazione ridotta a negozio di articoli per pirati, redatta da ghostwriter della tv, della politica e della burocrazia la dice lunga sulla “sfida”. Anche se nel segno green si tengono incontri, dibattiti, interventi, persino festival con l’aggiunta della filosofia, della letteratura, della musica. L’imperativo ecologico mobilita riflessioni sulle etiche della Natura, la dottrina teologica, la sostanza dell’essere, la green economy. Per dirci cosa? Che la Natura è “in rianimazione”! O bella, ma non è quanto diceva già mezzo secolo fa Giovanni Haussmann nei suoi mementi su società umana e suolo? Da allora come abbiamo proceduto per un uso “parsimonioso” delle risorse e dell’ambiente, per mettere in archivio tanta retorica e assestare un nuovo profilo?Uno storico e antropologo in un suo libretto ci aveva avvertiti: i colori la dicono lunga sulle nostre ambivalenze. Il verde è un bel colore ma non è un colore onesto. ”E’ un volpone che, da che mondo è mondo ha sempre nascosto il proprio gioco, un furfante responsabile di molti brutti tiri, un ipocrita che ama le acque torbide, un colore pericoloso la cui vera natura è l’instabilità”. Goethe raccomandava il verde per le carte da parati degli appartamenti. I teologi l’hanno codificato come colore delle domeniche comuni. I chimici ci hanno avvisati che non è difficile ottenerlo, ma mantenerlo stabile. Esso rappresenta tutto ciò che si muove, cambia, varia. Corrisponde bene alla nostra epoca inquieta.Non si è “attualisti” per il linguaggio green, ma per le strategie e le azioni immediatamente praticabili che si mettono in campo per la riqualificazione dell’edilizia, la mobilità, l’emergenza smog, le energie rinnovabili, la pedonalizzazione dei centri storici, i rifiuti, la riqualificazione delle periferie, il recupero delle aree dismesse, la dotazione di parchi e giardini, il trasporto pubblico, la riconversione industriale, i consumi e gli stili di vita, la creazione di nuove filiere industriali, il ri-orientamento delle risorse economiche e finanziarie pubbliche e private, l’uso dei fitofarmaci e dei liquami non trattati nei campi, l’”agricoltura di rapina”, il rispetto degli equilibri biotici del suolo, la severità contro chi inquina e imbratta e deturpa il patrimonio urbano, eccetera.Calma!, non voglio costringerci alla perduta “civiltà del Villaggio” di cui nessuno ha più memoria, solo mettere l’accento sugli agguati di un’oratoria nobile ma non più che esortativa.

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