Nel Settembre del 1980 la società con la quale collaboravo mi chiese di andare in Iraq per monitorare alcuni problemi tecnici alle pipelines dell’intricata rete di pompaggio del greggio. Avevo già in tasca un biglietto aperto per Bagdad, ma qualche giorno prima della partenza lessi sui giornali dell’improvviso attacco che Saddam Hussein aveva scatenato contro l’Iran e della probabile rappresaglia da parte del Paese aggredito.Saltai in macchina e mi precipitai nell’ufficio del dirigente responsabile del progetto, per chiedere l’annullamento o un rinvio della trasferta. Costui minimizzò l’evento e mi mise sotto il naso la copia di un quotidiano dove, in un breve articolo, le ritorsioni persiane venivano configurate come goffi, deboli tentativi, quasi subito esauriti con il lancio di due o tre missili, qualcosa in più di petardi, che avevano ucciso un asino e ferito due capre alla periferia della città. Il funzionario, forse nell’intento di farmi comunque partire, si spacciò per esperto conoscitore dei problemi mediorientali, affermando che il conflitto si sarebbe concluso entro pochi giorni a causa dell’enorme sproporzione tra le forze in campo. “La guardia repubblicana e il munitissimo esercito iracheno” disse, “avrebbero fatto un solo boccone degli spauriti “komeinisti” armati, nella migliore ipotesi, con fucili a retrocarica.Per nulla convinto di una tale rassicurante diagnosi, declinai l’incarico e riconsegnai il biglietto aereo allo sprovveduto manager, che non ho mai più avuto l’occasione di rincontrare. Avrei voluto dirgli quanto, improvvidamente, la sua fasulla ed incauta previsione fosse stata, in seguito ed altrettanto incautamente, condivisa da politici, sociologi, banchieri economisti di ben altro rango, ivi compresi tre presidenti degli Stati Uniti.Il conflitto tra i due contendenti durò fino al 1988 e funzionò da detonatore per tutto ciò che seguì, dall’invasione del Kuwait, alla Guerra del Golfo, dalle Torri Gemelle alla spedizione in Afganistan dalla definitiva caduta del rais iracheno, impiccato dopo un processo dall’esito scontato, all’uccisione di Bin Laden. Oggi in quelle terre martoriate, la pacificazione non è mai stata così lontana; si vive in continua emergenza tra il crepitare delle armi automatiche e, nel frattempo, gli uomini del neo califfato di Al Baghdadi,distruggono tesori culturali, sgozzano gli adulti e seppelliscono vivi i bambini.Il fallimento dell’equazione: fuori Saddam, dentro la normalizzazione, appare più che mai drammaticamente confermato,, ma niente affatto episodico. Non va meglio, infatti, in quelle contrade più ad Oriente, a lungo occupate per “esportarvi la “democrazia”, ove non passa giorno senza che la bomba di un kamikaze massacri decine di persone in un mercato, in una chiesa o in una moschea. Ora l’escalation terroristica minaccia da vicino l’occidente e l’attentato tunisino ne reitera l’allarme.E vengo in ultimo ai fatti a noi più prossimi.Il 20 ottobre 2011, nell’ennesimo tentativo di sfuggire ai suoi persecutori, Muʿammar Gheddafi tentò di guadagnare il deserto per continuare la lotta armata, ma il convoglio in cui viaggiava fu attaccato da parte di aerei militari francesi. Raggiunto da elementi del Comitato di Transizione, venne catturato vivo, ferito alle gambe e, dopo brutali pestaggi, al posto di un regolare processo, ucciso con un colpo di pistola alla testa, tra il quasi unanime tripudio degli occidentali, sull’euforica ,illusoria onda della “primavera araba”,dilagante in Tunisia, Yemen, Egitto e Algeria.In quarantadue anni di dittatura il “colonnello” si era distinto per alcune atrocità unanimemente condannate, come l’esplosione del volo Pan Am precipitato a Lockerbie con 259 persone a bordo, nel dicembre del 1988, di cui era stato accusato essere il mandante, o il suo fattivo sostegno al combattente palestinese Abu Nidal e alla sua organizzazione para-militare, autori, tra l’altro, della strage di Fiumicino nel 1985. Accanto a quei misfatti non è però possibile ignorare il sostegno appassionato a Nelson Mandela, nella lotta all’Apartheid in Sudafrica e la realizzazione di bonifiche e imponenti opere pubbliche a vantaggio della propria gente tra le quali il GMR ( Great Man-made River), un acquedotto che, prelevando acqua dolce nelle viscere del deserto, la convogliava alle città costiere notoriamente in perenne crisi idrica.Per le sue ribalderie Gheddafi si era fatto parecchi nemici in Europa e in America, ma è onesto attribuirgli un merito indiscutibile. Con lui la Libia si stava trasformando in un Paese moderno ed organizzato, con il più alto reddito pro-capite tra le nazioni del Nord-Africa e progressivamente distante dagli opposti estremismi.La citata equazione, prima formulata per Saddam, anche in questo caso si è rivelata un pessimo rimedio di gran lunga ben peggiore del male: oggi il “bel suol d’amore” si è trasformato in un inferno le cui fiamme lambiscono ormai Pantelleria, Lampedusa e la Sicilia.Aver sottovalutato la virulenza della Jihad si è rivelato errore scriteriato, ma ancor più affetti da cronica miopia, appaiono gli interventi mirati alla sottrazione del potere a coloro che lo gestivano con sadica ferocia, ma con, sia pur discutibile, efficacia. Ora a “Sud di Roma”, sembra si stia preparando la prima Crociata del XXI secolo a ritroso. Un tale progetto può esser contrastato mettendo in campo nuove intelligenze, nuove energie e nuove strategie. Potrebbe esser utile consultare un tale Jorge Mario Bergoglio, argentino d’origine e romano d’adozione.
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