Sui meriti ora si fa sul serio

Un apposito disegno di legge sul merito è in dirittura d’arrivo con tante novità al seguito. E’ un deciso cambiamento culturale tanto sperato quanto atteso. Una svolta, in tal senso, era nell’aria già da tempo. Temporeggiare ancora avrebbe significato gettare la scuola tra le braccia di pericolose contraddizioni che tanti studenti, genitori e docenti non avrebbero più accettato. Non fosse altro che per il rispetto dovuto ai tanti ragazzi erroneamente ritenuti, da un incomprensibile luogo comune, studenti «fuori norma» per il solo fatto di saperli maggiormente impegnati nello studio. Ciò nondimeno è risaputo che soprattutto negli ultimi anni la percentuale dei ragazzi studiosi si è notevolmente abbassata. Paure e incertezze per un futuro carico di incognite hanno di fatto contribuito a renderli più fragili e più esposti alle nuove emergenze sociali. Com’è possibile non curarsi dei tanti studenti che studiano costantemente con impegno, sacrificio e serietà senza mai demordere e senza mai scoraggiarsi? Le sollecitazioni in tal senso si sono moltiplicate in questi ultimi tempi e ora possiamo dire che finalmente il mondo politico ha trovato la giusta riposta a una legittima aspettativa. Stiamo parlando dell’annunciato impegno legislativo che si snoda su una decina di articoli tra cui quello che prevede la scelta, da parte di ogni singolo istituto, dello «studente dell’anno» tra quelli che si diplomano con il massimo dei voti «cum laude». Non dimentichiamo che ora ottenere la lode impegna lo studente a percorrere, non senza fatica, una strada decisamente in salita. Siamo di fronte a una serie di segnali che la dicono lunga su come comincia a cambiare la cultura del merito da noi. A San Servolo, Venezia, ad esempio, ha aperto i battenti da una settimana un Collegio Internazionale Universitario di alto livello. Possono accedere alle facoltà solo studenti che si sono diplomati con un minimo di 90 su cento. Una decisione che, per certi aspetti, pone all’attenzione di attenti osservatori un’altra questione. Da qualche anno a questa parte si registra una vera e propria fuga dall’università. E’ come dire che i giovani non credono più al pezzo di carta. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Un diplomato su tre si iscrive all’università, di contro solamente il venti per cento raggiunge la laurea. I più vivono l’università come un parcheggio in attesa dell’occasione da prendere a volo. Sono dati che devono farci riflettere molto. La prima osservazione è che sono tanti i ragazzi che si accontentano di raggiungere un livello di mediocrità negli studi. Ma è proprio questo livello di rassicurante mediocrità che mette in crisi l’intero sistema della qualità dell’apprendimento. Di qui si capisce allora il senso del disegno di legge che tende, tra l’altro, a valorizzare l’impegno di quanti vivono l’esperienza scolastica con motivazione, caparbietà, determinazione, convinzione nelle proprie capacità. E questo in un momento di crisi sociale che non smette di portare a galla brutti esempi come certe strane lauree conseguite all’estero o presso atenei virtuali privi di legale riconoscimento. Va ripensata la visione culturale degli stili di vita come pure andrebbe rivista in maniera più che convincente la valorizzazione del merito. Bene ha fatto il legislatore a valorizzare «il merito e l’eccellenza in base a sistemi premiali e selettivi». Sono del parere che una simile attenzione dovrebbe valere anche per i docenti. Quei tanti docenti che nonostante una riconosciuta professionalità e autorevolezza, nonostante l’amaro calice del sistema retributivo basato più sull’anzianità di servizio che non sulla capacità e l’impegno, continuano a non far mancare quella particolare preziosa collaborazione fatta di disponibilità, di amore per il proprio lavoro talvolta portato avanti da soli, contro corrente, tra la delusione per il sistema politico e la scarsa considerazione sociale che imperterrita continua a crescere. Sarebbe opportuno, allora, oltre che parlare di «studente dell’anno», anche di «docente dell’anno» giustappunto per non ridurre il pacchetto merito ai soli studenti che pure vanno fortemente motivati, non fosse altro che per un senso di rivalsa nei confronti di chi vive la scuola ai margini dell’impegno, lontano dal più semplice senso del dovere. E’ bene che ora si cominci a parlare seriamente di merito e che non sia anche questa un’altra operazione di carattere propagandistico sentita come una boutade arguta e provocatoria. Del resto se ci fermiamo un attimo a riflettere non è forse la scuola l’ambiente più adatto a valutare il profitto? Non è forse nella scuola, più di ogni altro ambiente, dove si applica la scala di valutazione in proporzione all’impegno che ogni ragazzo ci mette nello studio? Non è forse alla scuola che spetta il compito primario di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono a tutti e a ciascuno di migliorare la propria condizione sociale? E allora se siamo d’accordo su queste poche riflessioni, possiamo dire che una corretta impostazione didattica può debellare una frustrante utopia pedagogica. E per fare questo occorrono docenti motivati, preparati, capaci e quindi meritevoli. Stessa cosa vale per gli studenti. Se ci trovassimo di fronte a studenti impegnati, motivati nello studio, gratificati dagli stessi risultati, non sono forse costoro degni di riconoscimenti e di meriti? Si commetterebbe un grave errore se, pur di mantenere basso un comune livello di apprendimento, per timore di scatenare un senso di competizione tra allievi della stessa classe, si finirebbe col dimenticare che esistono valori come aiuto e collaborazione che potrebbero benissimo portare condizioni di crescita generale della classe sia pur nel rispetto delle capacità dei singoli. Ecco allora l’importanza del pacchetto merito anche se, com’era da aspettarsi, ha scatenato dubbi e critiche in diversi ambienti istituzionali e non. Vale la pena precisare che valorizzare il merito non vuol dire valorizzare il successo, né aprire le porte ai ceti sociali alti e chiuderle a chi è socialmente castigato. Il merito è qualcosa che cresce con l’impegno, il successo è qualcosa che matura con le arrampicate. Sentite cosa dice Victor Hugo: «Il successo è cosa abbastanza sporca, la sua falsa somiglianza con il merito inganna gli uomini». Quant’è vero.

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