Strage di Bologna, il ricordo di Cancellato

Parla l’ex sindaco socialista di Lodi

Un mese dopo la strage di Bologna venne eletto sindaco di Lodi e rimase alla guida della città fino all’agosto del 1990. Andrea Cancellato, socialista, succedette al primo cittadino Edgardo Alboni. «Dopo il decennio terribile degli anni Settanta, che aveva visto in campo le Brigate rosse e Autonomia operaia, culminati con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro - racconta l’ex sindaco - si incominciava a vedere un po’ di luce. Gli anni Ottanta erano definiti gli anni “allegri” del nostro Paese. La strage efferata di Bologna, quindi, arrivò inaspettata. All’inizio non era chiara nemmeno la matrice di estrema destra. Arrivavamo da anni di terrorismo di estrema sinistra. Ricordo che all’inizio, quell’agosto, vi fu un grande sbandamento».

A Lodi, dice Cancellato, l’estrema destra non aveva particolari radici. «Lodi - ricorda l’ex sindaco - è stata una delle culle delle Brigate rosse fin dai primissimi tempi, cioè dai primi anni Settanta. Fu sempre attraversata dall’estremismo di sinistra. L’unico grande personaggio dell’estremismo fascista, invece, era stato Sergio Ramelli, il quale però non operò mai a Lodi, ma a Milano». La sensazione che gli rimase di quella strage alla stazione ferroviaria bolognese, «fu quella di un evento enorme. Aveva colpito la stazione di quella città, ma aveva coinvolto tutto il Paese - dice -. Non mi ricordo però manifestazioni particolari, nel Lodigiano, contro quella vicenda. Partecipai, invece, e sentii molto di più, la strage di piazza Fontana. Avvenne proprio il 12 dicembre, giorno del mio compleanno. Avevo 24 anni. Il tam tam rispetto alla strage di piazza Fontana fu immediato, si seppe in poco tempo quello che era successo. E da subito, rispetto a Bologna, fu chiara la matrice eversiva della strage. Allora io ero già un giovane socialista». Cancellato, infatti, iniziò l’attività politica fin da quando frequentava la prima Ragioneria all’istituto tecnico Bassi. Era ai vertici del comitato degli studenti, insieme a Giacomo Bassi che però era in quinta. «Mi ricordo - dice l’ex sindaco, oggi molto attivo in ambito culturale - le proteste in Provveditorato. Ricordo il mio compagno, figlio di un finanziere, che veniva nella mia cantina a nascondere i volantini e i giornali che inneggiavano a Stalin e a Mao. Suo papà non avrebbe certamente voluto. A Lodi c’era un folto gruppo di giovani socialisti. Era un’anomalia rispetto al resto d’Italia, negli anni ’70. Eravamo io Livio Bossi, Stefano Sordi, Roberto Cirini e Antonio Migliorini che poi militò nelle fila del Partito Comunista».

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