SPECIALE Giovanni Paolo II a Lodi, il ricordo dei giovani a Caravaggio

Alcune testimonianze di chi era presente a quella adunata

Un mio ricordo

Un santuario mariano al centro della Lombardia. Per noi, dietro casa, ma eravamo coscienti che il Papa, e Papa Giovanni Paolo II, dedicava un incontro ai giovani. E i giovani eravamo noi, di Lodi e di tutta la Lombardia. Un evento storico, tanto da raccogliere tutti gli adolescenti e i giovani persino del mio oratorio. Alessandra compiva quindici anni quel giorno e nel pomeriggio si era presa bene con le canzoni degli scout di Cremona, tanto da inculcarle indelebilmente nel cervello anche a noi. Sergio si trovava vicino alle transenne e si era girato emozionato perché Giovanni Paolo II aveva dato la mano proprio a lui (che dodici anni meno un giorno dopo sarebbe diventato sacerdote). Intanto pensavamo al “nostro” don Nunzio che era a Lodi perchè una settimana dopo sarebbe diventato prete. Tutti, nella veglia, avevamo acceso le nostre lucine a dire “ci siamo”. Insomma, ad un incontro di giovani con il Papa accadono tante cose. Forse non hai la visione di insieme e il discorso te lo devi rileggere dopo. Soprattutto se ti trovi nei settori in mezzo al prato. Ma non per questo non stai facendo esperienza di Chiesa. Anzi, vivi il tuo pezzettino. Il mio comprende l’immagine di un fiume di giovani che camminano nella notte, lungo il viale che dal santuario riporta ai vari punti di ritrovo dei pullman.

Camminano al buio che però non è buio. Riconosci chi c’è a fianco a te, incroci quelli che si tengono per mano, quelli che hanno un cartello, quelli che si vede sono un unico gruppo. La conoscevo già, quell’immagine. Era simile a quella dell’anno prima a Castiglione delle Stiviere e poi a Częstochowa, l’avremmo vissuta ancora a Denver 1993, Loreto 1995, in settecento lodigiani a Parigi 1997, e poi Roma 2000 e poi le nuove generazioni nelle Gmg del terzo millennio. A Caravaggio erano bastati i giovani delle diocesi di Lombardia per una Gmg a casa nostra.

Perché era stato il Papa a venire da noi, e la sua presenza ci aveva mostrati gli uni agli altri. Poi l’elicottero era ripartito: forse la foto più struggente tra quelle esposte oggi sotto i portici di Caravaggio. A volte mi sembra che siamo rimasti tutti là, a guardare da terra l’elicottero che si alza in volo. Ma poi penso a quei giovani che tornano al buio verso i pullman, che camminano verso casa. Per ognuno, il 20 giugno di ogni anno, c’è una speciale preghiera per quanto sta vivendo oggi. Che questi trent’anni siano per ciascuno un’occasione per guardare, con verità, al proprio cammino.

Il ricordo di Maria Teresa Malvicini, la giovane che interrogò il Papa sul senso della vita

“Ero vice presidente giovani dell’Azione cattolica di Lodi, insieme ad Ernesto Danelli, e ci è stato detto che il Papa avrebbe fatto visita alle diocesi di Cremona, Crema e Lodi. La visita del Papa per noi era una cosa storica”. Inizia così il ricordo di quel sabato 20 giugno 1992 a Caravaggio, da parte di Maria Teresa Malvicini di Boffalora, molto conosciuta perché da sempre impegnata con i ragazzi in oratorio, in diocesi e come maestra nella scuola primaria. “Abbiamo appreso la notizia come un evento. La visita del Pontefice nella nostra terra! Don Franco Badaracco, assistente generale di Ac, aveva l’incarico di curare tutto l’aspetto organizzativo, la preparazione dei vari momenti, e questo ci ha assorbito tanto. Abbiamo vissuto da vicino la preparazione. Tra l’altro io collaboravo con l’Ufficio di pastorale giovanile, insieme ai rappresentanti delle diverse associazioni. Si sono coordinati gli Uffici delle tre diocesi. Ci avevano detto che il Papa voleva un momento dedicato ai giovani, del resto questo era il Papa delle Gmg, dovunque andasse voleva incontrare i giovani. Sono entrata direttamente con il gruppo di lavoro ed è stato scelto Caravaggio perché riferimento delle tre diocesi e per la devozione del Papa a Maria”.

In occasione del trentesimo anniversario di quel 20 giugno 1992, Maria Teresa ci fa tutti partecipi di quanto ha vissuto. “Nel preparare la veglia si era pensato che non fosse una Messa, ma un dialogo tra il Papa e i giovani. Al centro la preghiera, poi l’intervento del Papa, ma avremmo posto noi delle domande a lui e lui avrebbe risposto. Naturalmente abbiamo preparato in collaborazione con lo staff del Papa. Ci sarebbero stati due giovani di Cremona, cioè i fidanzati; un ragazzo di Crema; una giovane di Lodi. Avendo partecipato con Ernesto, ero stata scelta io”.

E l’appuntamento si avvicinava. “Di fatto nessuno aveva coscienza di come si sarebbe svolto il momento – continua Maria Teresa, conosciuta come “Mt” -. Immaginavo come sarebbe stato allestito il luogo e che sarei stata molto lontano dal Papa. Ma già rivolgergli la Parola era importante. Da subito mi sono sentita una portavoce: quelle che avrei posto non erano le mie domande, ma prestavo la voce a tanti giovani. Quel giorno sono arrivata di corsa a Caravaggio perché ero stata sia in duomo con i responsabili pastorali che in piazza per la celebrazione con i rappresentanti parrocchiali. Ero arrivata con Ernesto. Lì ci hanno spiegato”.

E dunque: “Lì ho cominciato ad agitarmi. Ho visto che era molto vicino. Poi è stato anche peggio. Ci avevano detto: appena finito di leggere, scendete. Ci sarebbero state tre domande. Io ero la terza. Invece all’ultimo, il cerimoniere si è avvicinato e due secondi prima che salissimo la scalinata, ha detto: il Papa ha cambiato idea e vi vuole salutare”.

La vita, la morte, l’amore: questi i temi su cui vertevano quella sera le domande e il discorso di Giovanni Paolo II. “Io ho posto le mie domande, al centro c’era il cercare il senso della vita. I giovani in ricerca, dove potevano trovarlo? Il Papa aveva la febbre quel giorno e si vedeva. Io l’ho visto da vicino.

Sono stata investita da una forza incredibile: avevo davanti un uomo fragile e insieme forte, la sintesi di un uomo nella massima fragilità ma dalla sua fragilità veniva fuori una forza incredibile. Ho pensato: quest’uomo è fortissimo. Capivo che era sostenuto da qualcosa che non è umano”.

Poi il discorso di Giovanni Paolo II. “Ha urlato ai giovani di scommettere sulla vita, che l’amore donato non è mai perso, il senso del sacrificio che ti regala il senso delle cose. Erano i suoi messaggi che ben conosciamo: la devozione a Maria come madre che protegge ed è vicino a tutti, il non avere paura della croce, coltivare la nostra interiorità, il senso della preghiera. Messaggi forti già allora. Non è nella mentalità comune esaltare il sacrificio, già trent’anni fa erano messaggi controcorrente, attualissimi e penso che lo siano ancora ora, soprattutto se ripenso alle domande. Ancora oggi la domanda è la domanda sul senso della vita. Domanda non solo dei giovani. E’ di tutti: che senso ha la fatica, la vita, mettersi in gioco? Più che dare risposte, Giovanni Paolo II avrebbe preferito far nascere domande. E in uno strano ma significativo collegamento, non sono temi molto diversi da ciò che testimonia Papa Francesco. Si tratta di mettersi in ascolto dell’uomo, dei bisogni delle persone. Sono messaggi un po’ scomodi ma il centro, la scelta, il senso, è Gesù e il suo Vangelo, il messaggio d’amore donato senza avere riscontro”.

E oggi, Maria Teresa che sul senso della vita ha posto una domanda al Papa a nome di tutti giovani, questo senso della vita l’ha trovato per sé? “Io sì, l’ho trovato – afferma con certezza -. La vita ha senso quando puoi o quando vuoi prenderti cura degli altri. Quando ti prendi cura delle persone, in famiglia, a scuola come professione. La dimensione della cura è una dimensione che è una risposta alla domanda di senso. La cura per mia mamma diventa restituzione di ciò che ho ricevuto, la cura per i miei alunni diventa accompagnamento. Uscire da sè stessi per accompagnare, come compagni di viaggio. Io questa la trovo una risposta. Il mondo dei bambini e dei ragazzi – sottolinea -- ha tanto bisogno di cura. Io ti faccio capire che mi stai a cuore. Piuttosto, oggi tanti adulti sono in crisi senza saperlo. Oggi la domanda è: dove sono gli adulti?”.

Il ricordo di Sabina Pullicelli

Conserva ancora l’”Osservatore Romano” del 23 giugno 1992, Sabina Pullicelli, originaria di Orio Litta. Sabina fu tra i giovani che a Caravaggio ricevettero da Giovanni Paolo II delle spighe, un simbolo accolto a nome di tutti i giovani delle diocesi lombarde. Lei e Marco Moroni di Lodi si avvicinarono al palco a nome dei coetanei della nostra diocesi. Giovanni Paolo II nel mantello rosso e abito bianco, prendeva le spighe da un grande cesto e le porgeva ad ognuno. “È stata una cosa piccola, se guardiamo in quanto tempo è avvenuta – commenta Sabina -. Un momento soltanto. Eppure è stato molto bello. Ricordo che eravamo in tanti quel giorno, tutti giovani, sotto un sole cocente. Qualche settimana prima, don Peppino Raimondi mi aveva proposto di rappresentare insieme ad un altro ragazzo lodigiano una delle dodici coppie di giovani che avrebbero ricevuto le spighe da Giovanni Paolo II, segno della consegna a tutti i giovani lombardi dell’impegno del Vangelo, di essere semi di speranza e costruttori di una società con al centro il rispetto della vita e l’attenzione agli ultimi. Non so il motivo per cui don Peppino aveva scelto me, ma la proposta era venuta da lui”. Don Raimondi era allora parroco di Orio e insieme direttore dell’Ufficio di pastorale giovanile e degli oratori, incarico questo che ha ricoperto dal 1983 all’agosto 1992. “E’ stata un’esperienza significativa, anche se a distanza, io ero in mezzo ai giovani. E abbiamo saputo dopo che il Papa non stava bene”, commenta lo stesso don Peppino. Riprendiamo le parole di Sabina sul gesto delle spighe: “Segno della consegna a tutti i giovani lombardi dell’impegno del Vangelo, di essere semi di speranza e costruttori di una società con al centro il rispetto della vita e l’attenzione agli ultimi”.

Questa attenzione, Sabina ha continuato a tenerla alta: partecipa in diocesi a tanti momenti di formazione e comunitari e da diverso tempo lavora al “Pellicano” di Castiraga Vidardo dove gli ultimi… sono i primi. E dove non ci si stanca di lavorare per “costruire una società con al centro il rispetto della vita e l’attenzione agli ultimi”.

Il ricordo di Marco Moroni

“Conservo ancora le spighe che ho ricevuto dal Papa quella sera a Caravaggio. Ho avuto il privilegio di essere sopra il palco. E’ stato un momento effettivamente fortissimo, in un anno in cui stavo vivendo anche nel pieno la mia vocazione: quello stesso anno mi sono fidanzato con la persona che adesso è mia moglie ed è iniziato quel percorso che stiamo vivendo ancora adesso”. Così Marco Moroni di Lodi, parrocchia di San Fereolo, che insieme a Sabina Pullicelli di Orio quel 20 giugno 1992 aveva ricevuto in consegna dal Papa simbolicamente delle spighe. Marco e Sabina sono stati i due giovani di Lodi insieme a tutti quanti sono saliti vicino a Giovanni Paolo II in rappresentanza delle varie diocesi lombarde presenti. “Qualcuno dell’équipe in Curia che stava preparando l’incontro del Papa con i giovani, mi aveva chiesto di essere io a rappresentare i giovani della diocesi di Lodi – ricorda Moroni -. Indelebile, l’emozione di quel momento. Vivevamo la nostra fede da giovani, eravamo impegnati nel gruppo giovani, nel grest, nel catechismo, nell’Azione cattolica, vivevamo 24 ore su 24 in oratorio e quello è stato proprio il culmine. Per me è stato anche l’anno della maturità. C’è stata una coincidenza di cose. Ero in fase di discernimento, da noi in oratorio c’era don Egidio Miragoli. A Caravaggio c’era anche la ragazza con cui poi mi sono messo, un mese dopo. Ricordo anche l’emozione di avvicinarsi a Caravaggio, prima in pullman, poi il pezzo di strada a piedi fino al santuario e così al ritorno”.

Aggiunge Marco: “Giovanni Paolo II è stato il nostro Papa. Poi ho partecipato alla Giornata mondiale della gioventù di Parigi nel 1997 e all’incontro dei giovani europei a Loreto, nel 1995, con la guerra jugoslava dall’altra parte dell’Adriatico”.

La consegna delle spighe era anche un invito a portare frutto. E oggi che Marco Moroni è in cammino verso il diaconato permanente, dichiara: “Sto studiando al secondo anno dell’Istituto superiore di Scienze religiose. Sono in cammino. Sarà poi il vescovo a decidere. Il possibile diaconato permanente non è una scelta solo mia, perché coinvolge tutta la mia famiglia”. E anche questo è portare frutto, insieme.

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